Il talento di Vivian Maier approda a Bologna ospitato nelle preziose sale di Palazzo Pallavicini grazie alla selezione fotografica curata da Anne Morin
La mostra comprende un corpus di 150 scatti principalmente in bianco e nero e segue un percorso suddiviso in sei sezioni tematiche: arte di strada, infanzia, forme, ritratti, autoritratti, colore. La storia di Vivian Maier è ormai nota a tutti: nata nel 1926 da madre francese e padre austriaco a New York nel Bronx e trasferitasi a Chicago nel 1956, trascorse l’intera esistenza dividendosi tra baby sitting e fotografia (se si escludono un paio di momenti della sua vita in cui si dedicò a viaggi in solitaria per il mondo). Nei suoi scatti inizialmente utilizzò una Kodak Brownie di cartone, mentre a partire dal 1952 per 25 anni circa, adoperò una Rolleiflex -una macchina fotografica reflex biottica tedesca perfetta per la sua precisione ed affidabilità- per sostituirla infine con una Leica, più maneggevole e con l’obiettivo all’altezza degli occhi.
Esercitò la sua passione senza condividerla con nessuno per quarant’anni sino a settant’anni pieni finchè nel 2007, John Maloof, un giovane agente immobiliare in cerca di immagini per la realizzazione di un reportage su Chicago, si aggiudicò per 380 dollari un lotto comprendente svariate fotografie, più di 120.000 negativi, filmini in super8mm e 166mm ed oggetti vari, messo sotto sequestro a causa degli affitti non pagati di un magazzino dove era stato anni prima custodito.
Quel materiale era di proprietà della Maier, che sarebbe scomparsa di lì a poco (nel 2009) in povertà, senza eredi, ignara di tutto. Con suo grande stupore Maloof capì subito di trovarsi di fronte ad un lascito di grande qualità e varietà, tanto che volle condividere alcune fotografie su Flickr per fare una sorta di esperimento e per capire se qualcuno conosceva quella donna. Quello che ne conseguì fu un grande riscontro ed un successo immediato. Quello che invece non riuscì a fare Maloof, nonostante i suoi sforzi, fu di sapere qualcosa in più della protagonista di quegli scatti a livello artistico (recuperò alcune note biografiche circa la sua famiglia d’origine, tratti del suo carattere ed il nome di qualche famiglia in cui aveva fatto la bambinaia): si trattava di un’autodidatta probabilmente, anche se non si esclude un’influenza, seppure remota, avvenuta nell’infanzia mentre con la madre condivideva un appartamento con Jeanne Bertrand, una fotografa.
Un’autodidatta attenta all’humus che si respirava in quegli anni, frequentatrice di cinema e del Chicago Art Institute (forse a New York si recava alla Limelight Gallery di Helen Gee nel West Village dove venivano esposte opere di Cameron, Cunningham, Abbott, forse conosceva il lavoro di fotografi che operavano in quegli anni a Chicago del calibro di Miller, Callahan, Siskind, Crane…). Il corpus di scatti riuniti nella mostra basta comunque a convincere anche un pubblico di non addetti ai lavori che la Maier era un’artista vera e propria, una street photographer sensibile nello scegliere ed immortalare soggetti con tagli inediti e personali, abbastanza sicura di sé da non ripetere uno scatto per più di una volta.
Tante le opere in mostra che rimangono scolpite nella memoria: ritratti di appartenenti alla upper class o dedicati ai ceti meno abbienti, lavoratori, amanti, bambini sognanti o piagnucolosi, persone colte di sorpresa in atti apparentemente banali nobilitati dall’occhio dietro all’obiettivo, accostamenti sorprendenti, oggetti catturati in modo anticonvenzionale da formare una sorta di “minimalismo visivo”, selfie ante litteram fantasiosi su superfici riflettenti o costituiti da ombre giganti, e a partire dal 1965 scatti a colori, fantasiosi, giocosi dove centrali sono gli accostamenti cromatici. A distanza di tempo le immagini della Maier colpiscono per l’originalità e la modernità, in sincrono con la storia della stessa, ovvero quella di una donna come tante nostre contemporanee che si dividono tra un lavoro comune in grado di assicurare loro un sostentamento quotidiano ed un altro che definirlo hobby sarebbe davvero riduttivo, per il quale sono nate e predestinate.
Dove: Palazzo Pallavicini, Via San Felice 24, Bologna
Orari e tariffe:
Vivian Maier – La Fotografa ritrovata
3 marzo – 27 maggio 2018
Orari di apertura:
Aperto da giovedì a domenica dalle 11.00 alle 20.00
Aperture straordinarie: 1 e 2 aprile, 25 aprile, 1 maggio 2018
Chiuso il lunedì, martedì e mercoledì.
La biglietteria chiude 1h prima (ore 19 ultimo ingresso)
https://www.palazzopallavicini.com