Viva l’Italia non è un documentario, non è ideologia o teatro politico. Viva l’Italia è una finzione basata su fatti realmente accaduti, racconta un periodo storico che forse non si è ancora concluso o almeno non lo potrà essere sino a quando le vittime del terrorismo – in tutto il mondo e in tutte le epoche – non avranno giustizia, sino a quando continueranno a esistere rapporti deviati tra gli apparati dello Stato.
Il testo di Roberto Scarpetti, in scena al Teatro Elfo Puccini di Milano per la regia di César Brie, procede per metafore e immagini. La scena non è un luogo dove illustrare il testo, bensì dove farlo vivere, pulsare, interrogandolo attraverso le vicende dei personaggi. Il testo diventa così una soglia che attori e pubblico sono chiamati a superare insieme, entrando attraverso la tragica vicenda di Fausto e Iaio nelle vite e nelle emozioni dei sopravvissuti. E qui incontriamo dapprima il dolore più innaturale e inspiegabile, quello di una madre che vede morire il proprio figlio, gli sopravvive cercando affannosamente di dare senso a una perdita che un senso non lo avrà mai. Perché morire a vent’anni non può avere una ragione. E Angela – interpretata con intensità e dolcezza da una straordinaria Alice Redini – si fa portavoce del dolore di tutte le madri che, per ragioni diverse, piangono i propri figli, immaginandone il futuro, accarezzandoli ancora asciugando una fotografia su di una tomba fredda e battuta dalla pioggia. Il commissario diventa l’emblema di una giustizia ingiusta che s’ingarbuglia e sprofonda tra fascicoli e procedure. Il giornalista ci appare come un soldato arruolato nelle fila nell’esercito della verità, combattendo per la quale andrà anch’esso incontro alla morte. Ma Viva l’Italia ci presenta anche ritratti tutt’altro che eroici, insinuandosi nella loro anima alla ricerca di un frammento di coscienza, forse di pentimento. E Giorgio – impersonato da un maturo e convincente Umberto Terruso – viene scandagliato nel suo essere prima di tutto un’anima persa, un ragazzino alla ricerca di se stesso, della propria affermazione all’interno del gruppo e dunque profondamente insicuro, privo di un’individualità propria e definita. L’assassino susciterà, alla fine, una sorta di pena che tuttavia non gli permetterà di riscattarsi ma quantomeno di denudarsi per far uscire la propria umana fragilità.
Spoglia e incolore, la scena vive nell’utilizzo sapiente di materiali poveri e apparentemente privi di significato, dai grandi teli in cellophane – che si fanno mare, vento, lamiera – ai parallelepipedi che ospitano i personaggi diventando cabine telefoniche, uffici direzionali, letti o bare. I performer, dialogando col testo e con la scenografia, danno vita a una pièce vivace e coinvolgente, a tratti cruda per poi farsi emozionante, intimistica e commovente. Un lavoro curato nei dettagli, dalla recitazione ai movimenti di scena, dalle videoproiezioni all’utilizzo sapiente (e originale) degli elementi scenici.
Giudizio: ***
Produzione Teatro dell’Elfo
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Con Andrea Bettaglio, Massimiliano Donato, Federico Manfredi, Alice Redini, Umberto Terruso
Regia di César Brie
Luci: Nando Frigerio
Milano, Teatro Elfo Puccini, Sala Fassbinder, Corso Buenos Aires 33
Dal 25 aprile al 4 maggio e dal 20 al 25 maggio 2014
www.elfo.org