È stato presentato al Teatro i di Milano – dal 7 al 19 Ottobre – “TROPICANA”, un progetto di Frigoproduzioni, con Francesco Alberici, Salvatore Aronica, Claudia Marsicano, Daniele Turconi; per la scenografia di Alessandro Ratti in collaborazione con Sara Navalesi; con disegno luci di Daniele Passeri. Coproduzione Teatro i – Associazione Culturale Gli Scarti
Forse non tutti sanno che Tropicana è il succo di frutta numero uno al mondo, leader di mercato negli Stati Uniti, in Francia e in Gran Bretagna. Un emigrante siciliano, Antonio Rossi, creò nel 1947 in Florida un impianto di pastorizzazione e imbottigliamento di spremuta d’arance. Negli Anni ’60, Tropicana fu la prima società a vendere le spremute della Florida oltreoceano.
Tutti, però, ricordano “Tropicana”, il brano del “Gruppo Italiano” formato da Patrizia di Malta, Raffaella Riva, Gigi Folino, Chicco Santulli, Roberto Del Bo. Dopo aver dominato le classifiche dell’estate 1983 – anno di uscita – è diventato un brano simbolo dell’estate tout-court, passando alla storia come inno alla leggerezza estiva, ballo di gruppo per eccellenza e immancabile colonna sonora di ogni villaggio turistico.
La Televisione – che mangia e rimastica sé stessa in stile post-moderno – ha utilizzato spesso il “girato” dell’esibizione di questa canzone – per giustapporlo – vedi nel “Blob” di RaiTre – ai contenuti più disparati.
Se si parla degli anni Ottanta, sui quali ora tornano a riaccendersi i riflettori (si pensi alla mostra “Ottanta Nostalgia” proposta al Museo del Fumetto – Spazio Wow a Milano, o alla pubblicazione di “Io c’ero negli anni 80”, Magazzini Salani, 2015) – “Tropicana” non manca mai di essere citata e riproposta. Una canzone quindi, che continua a vivere di vita propria, nonostante non esista un “videoclip” ufficiale – perché ai tempi stranamente non fu fatto – nonostante i musicisti di allora abbiano proseguito la loro vita artistica separatamente.
Il brano è un “calypso” orecchiabile e ritmato. Eppure il testo descrive un’apocalisse: alla quale i presenti assistono senza rendersene conto perché si sentono “come dentro un film”. E in televisione sta passando la pubblicità di una bibita: la Tropicana. Ecco riallacciati i fili che avevamo in parte teso.
Ora, però, dobbiamo tirare l’ultimo per arrivare all’attualità: “Tropicana” colpisce – in qualche modo – l’immaginario di una compagnia teatrale i cui membri sono nati a metà degli anni Ottanta o nei Novanta. Capiremo perché.
“Tropicana” è il secondo spettacolo della compagnia teatrale Frigoproduzioni, già vincitori con il loro precedente spettacolo “SocialMente” del premio Teatrale Borsa Pancirolli. L’analisi del testo della canzone, tesa allo svelamento del significato recondito del brano, diventa il pretesto per una lenta immersione negli abissi, alla ricerca del nero che è sempre nascosto dentro un involucro colorato.
Con leggerezza, ironia, comicità, – beni rari quando sono coniugati – con mestiere – alla profondità del dramma – gli attori hanno raccontato – come in una specie di gioco di specchi infinito – di mise en abîme – le vicissitudini dei membri di un gruppo di artisti. Che si tratti di una “parvenza” dei musicisti di allora, o della stessa compagnia Frigoproduzioni che parla “direttamente” al pubblico – abbattendo qui e là la “quarta parete” – poco importa.
Una domanda sorge spontanea: com’è arrivata – dal passato – “Tropicana” – fin qui, nel 2017 – dopo 34 anni ? Lo abbiamo chiesto a Daniele Turconi a nome della compagnia.
Quando avete sentito la canzone “Tropicana” per la prima volta ? Tutti voi della compagnia ne siete stati colpiti o qualcuno ha detto “ti faccio sentire un pezzo….”?
D.T. : Conoscevamo tutti la canzone anche prima di lavorarci. Come tutti, la abbiamo ascoltata mille volte, senza pensarci troppo su. Addirittura “TROPICANA” era uno dei nomi che avevamo in mente per la compagnia, prima di decidere di chiamarci “FRIGOPRODUZIONI”.
Un giorno, eravamo in teatro a lavorare a un progetto che poi non si è fatto, eravamo in crisi perché non riuscivamo a lavorare, Claudia era stata male ed era dovuta tornare a Milano; Francesco stesso aveva preso una storta a una caviglia e a un certo punto, in un momento morto, aveva messo su Tropicana e aveva cominciato a raccontarci che il testo non era così allegro come sembrava…
So che avete conosciuto i membri del Gruppo Italiano in fase di creazione nel testo.
Che effetto ha fatto vedere in carne e ossa uno o più protagonisti della vostra fonte d’ispirazione ?
D.T. : In realtà il nostro primo contatto è stata Raffaella Riva, alla quale abbiamo chiesto un’ intervista per rispondere ad alcune domande che ci stavamo facendo rispetto alla loro storia. Il primo impatto con il “Gruppo italiano” è stato con lei. L’effetto è stato strano, avevamo davanti una persona che ci parlava di un capitolo della sua vita, in una maniera molto lucida e molto leggera, le risposte che ci dava non erano per niente quelle che ci aspettavamo.
Eravamo andati a quell’intervista credendo che dietro “Tropicana” ci fosse chissà che…E invece ci eravamo ritrovati con l’autrice che ci diceva che la canzone era tutto uno scherzo, una cosa leggera, istintiva, fatta da quattro ragazzi di ventuno anni appena tornati da un viaggio in America.
Poi, abbiamo incontrato gli altri, li abbiamo invitati tutti allo spettacolo e si sono divertiti molto, per fortuna.
In un raffronto tra Anni Ottanta e secondo decennio del 2000, quali similitudini o differenze vi sono come gruppo artistico, sia esso teatrale o musicale ?
D.T. : La prima differenza è che il mercato artistico è diventato più violento. Nello spettacolo noi lavoriamo su un parallelo tra mercato musicale, teatrale e pubblicitario, dove la domanda principale è: “c’è differenza tra una canzone e una pubblicità? tra una canzone e uno spettacolo teatrale? tra uno spettacolo e una pubblicità?”.
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Per noi non ci sono molte differenze tra i tre mercati: le dinamiche sono le stesse, gli sbalzi di domanda e offerta sono molto simili, e proprio per questo noi siamo costretti – come compagnia teatrale – a scontrarci con quelle dinamiche, che dovrebbero essere estranee al lavoro artistico.
Questo genera molto malessere, almeno a noi: ci chiediamo se sia possibile rimanere artisti in un periodo in cui il mercato influenza la gran parte delle scelte dei direttori dei teatri, dei concorsi, dei bandi. La scena teatrale ora come ora è molto divisa, non collaborativa: si è perso l’interesse per il valore artistico da parte dei produttori teatrali.
In Italia sopravvivono a stento le poche realtà che provano a proporre delle scelte, non dico nuove o rivoluzionarie, ma alternative.
Speriamo che qualcosa possa cambiare in meglio, io cercherei di lavorare su questo, cercando di fare spettacoli il più possibile originali, impavidi, propositivi e “provocatori”, senza mai cercare di insegnare qualcosa ma invece ponendo domande, sollevando temi, per sentire la risposta del pubblico. Questa è l’arma che gli artisti hanno, ora come negli anni Ottanta, per cambiare qualcosa.
Ho notato che non avete voluto creare dei momenti di forte pathos, che pure non sarebbero mancati. Alcuni punti avrebbero sicuramente meritato l’applauso a scena aperta: sarebbe bastato “spingere” un po’ di più su alcuni monologhi. Ma avete preferito non farlo. Perché?
D.T. : Durante la lavorazione dello spettacolo siamo giunti alla conclusione che lo stile recitativo sarebbe dovuto andare in forte contrapposizione con una certa espressività, abbiamo cercato di lavorare come attori in un senso opposto a quello pubblicitario e spinto: abbiamo cercato di non far emergere così tanto alcune qualità tecniche degli attori, poiché farne sfoggio sarebbe stato come contraddire il nostro discorso principale.
Non volevamo esibirci, non volevamo mettere in mostra nessun virtuosismo, non volevamo dare a quella parte oscura del mercato la soddisfazione di avere qualcosa di specifico da vendere.
Nello spettacolo ci sono accenni di danza e di cantato che non sfociano mai nella “pornografia” di quell’esibizione tecnica. Questo linguaggio ci corrispondeva di più sia dal punto di vista attorale che umano.
A nostro avviso le qualità di un attore non sono da misurarsi in base alle qualità tecniche più visibili, vendibili, pubblicitarie. Mentre il lavoro di un attore è decisamente un altr’cosa: è più complesso, meno visibile, più misterioso e affascinante.
State già lavorando a un nuovo testo ?
D.T. : No, per adesso siamo in tour con “Tropicana” che ha debuttato questa estate. Lo spettacolo sarà replicato a partire dal 30 Novembre a Brescia presso il Wonderland Festival. E poi in altre occasioni.
Nel 2018 Ci penseremo!
Ad intervista conclusa ecco ancora alcune riflessioni. Sicuramente lo spettacolo riesce a toccare molte corde. Il testo, frutto di una redazione collettiva, è stato scritto e assemblato da Francesco Alberici. Ci si affeziona ai personaggi che Frigoproduzioni ha saputo mettere in scena con “Tropicana”. Si vorrebbe seguirli ancora, conoscere di più le loro debolezze, le piccole rivalità, l’umanità, i punti di forza di ognuno.
E ancora poter rivivere la coesione che fu del “Gruppo Italiano” – seppur traslato nella finzione e rielaborazione scenica – e quel senso di appartenenza che la Compagnia persegue con tanta passione ora. Sì, come una band, una band degli Anni Ottanta. Un decennio che ancora riesce vivamente a esprimere un suo lascito.
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