Bertolt Brecht
Nella giungla delle città
Im Dickicht der Städte
Fino al 24 novembre 2013
traduzione Paolo Chiarini
adattamento e regia Marina Spreafico
spazio scenico Pierluigi Salvadeo
ambientazione sonora Walter Prati
luci Christian Laface
direzione di produzione Valentina Colorni
personaggi e interpreti:
Shlink, un malese commerciante di legnami – Mario Ficarazzo
George Garga – Giovanni Di Piano
John Garga, suo padre – Marino Campanaro
Mae Garga, sua madre – Claudia Lawrence
Marie Garga, sua sorella – Lorena Nocera
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Jane Larry, sua amica – Vanessa Korn
Il Babuino, un magnaccia – Mattia Maffezzoli
Il Verme, proprietaria dell’albergo cinese – Paui Galli
Pat Monkey – Fabrizio Rocchi
Siamo a Chicago all’inizio del secolo, una città cosmopolita. Due uomini si affrontano senza apparente motivo se non il naturale piacere della lotta. Sono un immigrato orientale (definito a volte malese, a volte cinese o giapponese) e un inurbato dalle praterie americane. Il primo è un commerciante. Senza famiglia, vicino alla sua comunità, si è dedicato tutta la vita agli affari. E’ in cerca di un degno avversario. Il secondo è un intellettuale idealista, povero e disinteressato al denaro, legato alla sua famiglia. Ama Rimbaud e sogna le isole felici. La lotta che intraprendono, senza esclusione di colpi, senza nemmeno uno scopo se non la vittoria sull’altro, cambierà profondamente tutti e due: l’orientale morirà sconfitto dai sentimenti, e l’intellettuale, novello Simon del Deserto, scenderà dalla sua colonna di stilita per gettarsi nelle corrotte braccia della metropoli, mentre la sua famiglia sembra andare a rotoli. Tra due litiganti il terzo gode: un giovane personaggio (nuovo Fortebraccio), che poco aveva contato nello sviluppo della storia, senza colpo ferire e approfittando della situazione, si appropria delle ricchezze dell’orientale e della sorella del poeta.
NOTE DI REGIA
Scritta nel 1921, quando aveva 23 anni, Nella giungla delle città è la seconda opera di Bertolt Brecht. Ho sempre amato le opere prime. Vi si trovano in nuce, un po’ maldestramente enunciati e condotti, i temi principali di tutta l’opera seguente. Sono germogli, fiori che stanno sbocciando, pieni di forza, vitalità, linfa, energia. Inconsapevoli di ciò che diventeranno, prorompono irruenti, festanti e giovani nel campo della poesia.
La scrittura è contemporanea in modo sorprendente. La vicenda appare inizialmente intricata e confusa. Poi di colpo un faro la illumina e tutto diventa chiaro. Il faro si illumina quando si capisce che è scritta come potrebbe esserlo una sceneggiatura. Per capire l’intrigo e i rapporti tra i personaggi, bisogna immaginare le scene non scritte, quello che avviene nel silenzio di accadimenti senza parole. Il dialogo è solo parte della sceneggiatura.
Come diceva Oscar Wilde, ”la vita imita l’arte”. E qui abbiamo la riprova della verità di questa affermazione. I personaggi sono immigrati, chi dall’Asia, chi dalla campagna. Perdono ed acquistano nuove identità nella selvaggia lotta per la sopravvivenza dei centri urbani. Assistiamo a conflitti tra culture, tra generazioni (“vince il più giovane”), a radicalizzazioni del pensiero quali siamo abituati a vedere tutti i giorni: ideologia, dio denaro, opportunismi di ogni tipo. Sognano l’evasione, le isole felici, forse l’amore. Si drogano e si stordiscono con l’alcool. Nel 1921.
Lo sguardo di Brecht è lucido, straordinariamente lucido per una persona così giovane, o forse lo è proprio per questo.
Può apparire cinico a chi si nutre di illusioni, laico a chi spera nella salvezza consolatoria. Per me è chiaro e poetico. Nella giungla delle città assomiglia a un riflettore che mette in luce stralci di realtà nel buio che ci circonda. Bertolt Brecht poco si occupa della consequenzialità di ciò che il fascio di luce mette in chiaro. Le scene si legano l’una all’altra attraverso le tenebre nelle quali viviamo.
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