Non è un film geniale, come ci aveva già abituato Pasolini in alcuni suoi lavori precedenti – uno per tutti: la Ricotta in RO.GO.PA.G, film diviso in quattro episodi affidati rispettivamente a Rossellini, Godard, Pasolini e Gregoretti… E non è neppure, a mio giudizio, un film di denuncia – come molti sostengono! – del capitalismo e del “neofascismo della mercificazione”, che utilizza De Sade solo come pretesto e la Repubblica di Salò quale elemento della totale aberrazione del potere. Ciò sostanzialmente per due ragioni, una di ordine storico, l’altra più propriamente contestuale alla natura del film. Se Pasolini avesse voluto infatti denunciare il volto oscuro del capitalismo, non avrebbe mai rivolto la sua attenzione alle vicende della Repubblica Sociale Italiana, per definizione antiborghese e in antitesi con il modello di sviluppo occidentale – Nicola Bombacci docet! – ; di contro il film sembra voler richiamare, attraverso la metafora della violenza nazifascista, una vera e autentica forma espressiva votata all’indagine estrema dell’esistenza umana nel suo “abbruttimento” oltre i confini del surreale, nella quale la perversione è condizione necessaria e per niente puramente circostanziale alla vicenda del film. Nessuna riproduzione fantastica di un virtuale fascismo, dunque, neppure di quella Banda Koch eliminata dallo stesso regime e per volontà delle SS a causa dell’eccessivo “zelo” con la quale torturavano i nemici dell’Asse, nella sua palingenesi del post-armistizio badogliano. Nel film sono forti i richiami all’avanguardia storica, dai quadri alla canzone “che mi piace tanto e che fa dada… dada… dada!” Persino Evola, il “fascista eretico”, commissario di Tristan Tzara in Italia e fondatore di quello che oggi viene definito “idealismo esoterico”, viene citato – e non credo proprio a caso – come amezzano, durante il racconto di una delle “narratrici”. In questa villa ai confini del mondo, dove fanciulle e fanciulli rapiti, fisicamente perfetti, si ritrovano a soddisfare le maniesessuali di quattro “gerarchi” – trai quali un improbabile monsignore -, eccitati dai racconti salottieri di un gruppo di attempate prostitute, si celebra probabilmente in Pasolini una svolta verso la ricerca delle origini del processo alchemico che nella fecalità definisce il suo più crudo elemento, legato come per Artaud alla conquista carnale dell’uomo. E, a questo punto, ecco allora il limite del film, per cui non si può parlare di capolavoro: quel Salò… che costò un processo al produttore Grimaldi, in realtà è spesso ripetitivo al limite della (para)noia, e non arriva a quell’estremo che uno si aspetta. Perché forse il suo autore e regista continua a ripercorrere come in uno dei gironi indicati dal film le psicopatie dei suoi personaggi senza avere il coraggio di “provarci gusto” – non inteso nel piacere, ma nella volontà di affondare il periscopio della propria indagine – come probabilmente avrebbe voluto, cadendo a volte in denunce moralistiche care alla tradizione neo-realistica, quasi a giustificazione della violenza mostrata sulla pellicola, e non procede oltre nei sentieri sconosciuti della spirale umana che invece Artaud, Jodorowski, Garcia, Fassbinder, Copi, e già Carmelo Bene qualche anno prima, sono riusciti a esplorare più in profondità, mettendo in discussione fino in fondo la propria “razionale” credibilità. In pratica, è l’inizio sperimentale di un percorso che, in abiura della Trilogia della Vita – Decameron, I racconti di Canterbury, Il fiore delle Mille e una Notte – Pasolini aveva iniziato per un’alternativa Trilogia della Morte… Il capolavoro sarebbe arrivato se il Poeta – preferisco definirlo così – fosse riuscito a sopravvivere alla tragedia del 2 novembre di quello stesso anno dell’uscita del film dove fu mortalmente colpito dal destino. E probabilmente, rispetto alle posizioni dei detrattori di questo primo e unico episodio – più preoccupati del buon costume offeso dall’immagine della “merda” che non dal senso del film – e dei suoi difensori – abbacinati unicamente dalla visione di un possibile antifascismo militante -, sarebbe riuscito, ricordando Artaud, a farla finita sia con il giudizio della morale corrente, sia di quello degli intellettuali “di tendenza” solo perché politicamente corretti. Ovvero, di tutti quei figli di un dio minuscolo…
GRIMALDI PRODUZIONE
Salò, o le 120 giornate di Sodoma Italia/Francia 1975
Liberamente ispirato al romanzo di D.A.F. De Sade
Adattamento e regia di Pier Paolo Pasolini
Con Paolo Bonacelli, Giorgio Castaldi, Umberto Paolo Quintavalle, Aldo Valletti, Elsa De’ Giorgi, Hélene Surgère, Sonia Saviange
Milano, Cinema Gnomo, domenica 22 gennaio 2006