Foto: Roberto SavianoNon credo sia possibile restare imparziali circa il lavoro di Roberto Saviano. A modo suo anche la camorra lo ha fatto, e in fretta, condannandolo a morte senza tanti complimenti, tant’è che il giornalista campano si sposta da tempo con la scorta. Volendo ragionare sui fatti, e non sulle polemiche recenti e passate che lo stesso ministro dell’Interno, Roberto Maroni, dopo l’arresto del latitante Antonio Iovine, del 17 novembre, pare voler cessare, la fatidica domanda è: ma perché fa così tanto discutere, nel bene e nel male, il lavoro di Saviano?

Per poter comprendere un po’ meglio la questione, senza volere scrivere sentenze o indicare la strada che porta alla Verità, va premesso che la mafia, e con essa le organizzazioni criminali storiche, camorra e ‘ndrangheta, a cui sommare le più recenti Sacra Corona Unita pugliese, e il fenomeno delle stidde siciliane, fino agli omicidi dei magistrati Giovanni Falcone, 23 maggio 1992, e Paolo Borsellino, 19 luglio del medesimo anno, fino ad allora erano inesistenti per più di un operatore del diritto tra avvocati e magistrati. Poco importava se la scia di sangue partiva da lontano, inclusi gli omicidi Chinnici, Cassarà e Montana, solo per fare tre tra i più noti esempi. “Che è Cosa Nostra?” era l’interrogativo sarcasticamente recitato non solo in Sicilia, nella migliore delle ipotesi testimonianza di una miopia che definire planetaria è solo un dolce eufemismo.

Una volta “scoperta” l’esistenza del fenomeno mafioso in senso lato, grazie anche alle stragi di Milano, di Roma e di Firenze del ’93, oltre al fallito attentato a Maurizio Costanzo al teatro Delle Vittorie di Roma, il problema era la gestione, per così dire, del problema. E in questo senso, è proprio di quest’ultimo periodo la conferma della trattativa tra alcuni vertici dello stato italiano e le organizzazioni criminali, con l’obiettivo di ammorbidire il cosiddetto 41 bis, l’articolo del Codice Penale (legge 354 del ’75, modificata nel 2002, ndr) che prevede il carcere duro per gli appartenenti a queste organizzazioni, trattativa per fortuna fallita. Ma c’è comunque poco da rallegrarsi, nonostante le continue vittorie di magistratura e forze dell’ordine, in ultimo l’arresto del boss Iovine di cui sopra.

La lotta a un fenomeno criminale o eversivo non è solo investigazione e repressione armata, o ancora prima una scelta politica, ma è anche una questione culturale. Per saperne un po’ di più riguardo al problema, solo qualche anno fa il mondo intellettuale italiano sponsorizzava, o quantomeno dava un certo risalto, a letture quali Cose di Cosa Nostra, una lunga intervista a cura di Marcelle Padovani proprio a Falcone, o all’opera del sociologo, e in seguito parlamentare, Pino Arlacchi, di cui vogliamo ricordare Gli uomini del disonore. Quest’ultimo, per la propria attività, oltre a essere pubblicamente minacciato niente meno che dal boss mafioso pluri-ergastolano Totò Riina, che anche i più ingenui comprendono valga una condanna a morte, è stato oggetto di, per così dire, attenzioni in più di un’occasione da parte di alcuni membri dei servizi segreti nostrani, resi noti dallo stesso ministro Maroni nel ’94.

Successivamente, dopo quella stagione stragista che ha visto una pubblica presa di coscienza da parte della stessa società civile, da nord a sud, più o meno fino alla fine del decennio, come per tutti i fenomeni l’attenzione è scemata. Questo non significa che la lotta, oltre che da parte dei suddetti organi dello stato, e di organizzazioni quali Libera di Don Ciotti, ma anche dei singoli cittadini, si sia conclusa, anzi. Quello che sembra essere cambiato è il vento generale, che da tempo tollera ragazzi imberbi e poco istruiti girare con felpe su cui c’è scritto “Cosa Nostra”, o gruppi di Facebook che inneggiano ai vari boss, come se si trattasse di una moda piuttosto che di un videogioco. Stronzate, ha detto e dirà qualcuno in maniera icastica, ma da non sottovalutare in quanto spie di un generale capovolgimento morale e sociale. Ajanta Pharmacy brought this medication to assist those ED patients, who cialis online are deprived of treatment just because of its affordability. It is nothing to be ashamed of and if you choose to go with http://secretworldchronicle.com/2018/05/02/ cialis discount india some cheap product then results can be drastic. To avoid acidity in future, one need to control over eating and drinking beverages with high generic sildenafil viagra secretworldchronicle.com caffeine contains. It remains a rental, but has served as more than Nashville viagra 25mg corporate housing. Per non parlare del senatore Dell’Utri, il quale, condannato a sette anni di reclusione dai giudici della Seconda Sezione della Corte d’Appello di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa, guarda caso, ha testualmente definito Vittorio Mangano, l’ex stalliere, ora defunto, della Villa del Presidente del Consiglio, come “suo” eroe (vedi: http://tg24.sky.it/tg24/cronaca/2010/06/29/processo_marcello_dell_utri_sentenza.html).

Tornando a Roberto Saviano, il suo merito, o per qualcun altro la sua colpa, da autore di bestseller come Gomorra (da cui sono stati tratti anche un film e uno spettacolo teatrale, ndr) e da personaggio televisivo, insieme a Fabio Fazio, è quello di parlarne, e continuare a parlarne, attività che, non da oggi, gli ha fatto piovere critiche di ogni tipo. Recente il pamphlet del professor Alessandro dal Lago, dal titolo Eroi di carta, edito da Manifesto-Libri (lo stesso del quotidiano, ndr) che porta uno dei più feroci attacchi al lavoro dello scrittore campano, per fortuna difeso da un buon numero di intellettuali. O le ancora più recenti affermazioni di Marco Travaglio ad Anno Zero, proprio alla prima puntata di Vieni via con me, secondo cui lo scrittore e giornalista sarebbe stato troppo morbido, troppo concentrato sul passato e poco sul presente, e infine bollando la trasmissione di un conformismo paragonabile al modello berlusconiano veicolato dal Grande Fratello. Al di là del fatto che nessuno detiene il diritto alla critica perfetta, Travaglio incluso, personalmente mi chiedo ancora se il giornalista torinese abbia visto lo stesso programma che ho visto io, proprio il Vieni via con me in questione. O magari proprio Il grande fratello, in onda alla stessa ora.

Tornando al tema, nell’ultima puntata della trasmissione in questione, Sav
iano ha raccontato verità già note ma non al grande pubblico, come la leggenda dei cavalieri spagnoli Osso, Mastrosso e Carcagnosso, e del giuramento rituale di un neo-affiliato alla ‘ndrangheta, interpretato tra gli altri dal bravo Antonio Albanese, qualcosa di molto simile a un arcaico rito cavalleresco. Così come nel primo si menziona impunemente nientemeno che l’arcangelo Gabriele e santa Elisabetta, nell’investitura a cavaliere si citavano, oltre al Creatore, san Michele e san Giorgio. Un lontanissimo passato che sembra tornare, e anche in questo caso c’è sempre qualcuno che lo bolla con l’appellativo di prima, stronzate, sempre nella migliore delle ipotesi con una miopia che però stavolta è più o meno dalle parti del sistema solare.

Dall’altra , sempre all’interno della stessa narrazione televisiva, Saviano fa luce sulla modernità delle mafie, che letteralmente investono laddove i soldi girano di più, ossia in Lombardia e a Milano, capitale della finanza, e comunque nelle aree più ricche d’Italia e del mondo. Nessun vetusto giuramento in questo caso, ma strumenti tecnologici come computer e cellulari impiegati da competenti operatori in giacca e cravatta alle prese con bilanci societari e investimenti provenienti da attività criminali come il traffico di droga, lo smaltimento illecito di rifiuti tossici e il contrabbando di esseri umani. Infiltrazioni alla radice, quelle lombarde, come testimoniano i dati forniti dallo stesso ministero dell’Interno, che Saviano ha citato, a partire proprio dall’Expo 2015, che tuttavia non sembrerebbe preoccupare più di tanto gli amministratori locali al potere in questo periodo. Da qui le critiche alla Lega di Bossi, e la bagarre che n’è seguita.

Secondo i dati Auditel, un altro lunedì sera con una botta di ascolti, stavolta nove milioni di spettatori, alla faccia delle vere stronzate, lasciatemelo dire.

Ed è questo che infastidisce, e non solo le mafie.