A cura di Flavia Armenzoni e Alessandra Belledi

INFO

Succede che un giorno d’inverno entra nella tua casa un manufatto molto eccentrico e buffo.
È’ una delle “sorelle” di un diario di bambole realizzato durante il letargo lungo e forzato del 2020. Ma che voce ha una bambola? A quarantuno donne con esperienze, età e provenienze diverse è stato proposto di esplorare il mondo interiore di queste Dolls, tramite storie, racconti, ispirazioni autobiografiche. Dalle case di ognuna, immaginate o conosciute, sono uscite parole densissime che hanno toccato gli antenati, la guerra, la povertà, le lacrime, i sorrisi, i viaggi, le andate e i ritorni, mari, montagne, i segreti, i sogni.

Un volume preziosissimo per dare voce a 41 magiche bambole, realizzate da Flavia in quarantena con stoffe e fili di ogni genere, bottoni e bigiotteria, carta raccolta in giro per il mondo e materiali di recupero, attraverso il potente e invisibile filo rosso della condivisione. Per chiudere un cerchio, completando un processo di recupero e trasformazione e attorcigliando insieme quei tanti nastri fatti di affetto, tenacia e ostinata passione. Nasce così l’elegante e meraviglioso “The Quarantine Dolls’ Diary”, edito da Mup e realizzato grazie al contributo di Fondazione Monteparma che sarà presentato sabato 7 dicembre alle ore 17 all’Auditorium di Ape Parma Museo e in seguito disponibile all’acquisto sul sito dell’editore (VEDI SOPRA)

A curarlo Flavia Armenzoni e Alessandra Belledi, recentemente scomparsa, entrambe con una lunga storia al Teatro delle Briciole di Parma, di cui sono state direttrici artistiche e organizzative dal 2006 al 2019.

Questa pubblicazione nasce per un desiderio autentico e genuino come i manufatti che l’hanno ispirato di provare una possibile ripartenza invitando altre donne a costruire insieme un “atto collettivo di concepimento di parole”. C’era bisogno – come si legge nell’introduzione firmata dalle curatrici – di immaginare un tempo nuovo, così è stato proposto a donne con esperienze, età e provenienze diverse, a loro volta madri, figlie, sorelle, amiche, di scrivere la storia della propria creatura esercitando un atto di ascolto vigile e paziente.

Quello proposto da Flavia Armenzoni e Alessandra Belledi è stato principalmente un gioco molto teatrale: il gioco del vero per finta. Un racconto che può trasformare la Doll in una persona vera per finta: Abbiamo chiesto di dare forma ad un testo, anche brevissimo, con la voce della bambola, in prima o in terza persona. Ma che voce ha una bambola?

Tutte queste storie hanno un sapore di fiaba. È stato come far pulsare la propria infanzia e darle vita con lo sguardo di oggi, con le proprie biografie. È come se ogni donna nel raccontare abbia provato ad indagare un pezzo della propria radice per dare ascolto a quella natura selvatica che ci appartiene, che è sempre lì ad aspettarci, pronta ad essere indagata. È stato sorprendentemente bello sondare quella sorta di energia un po’ soprannaturale che permea tutte le cose viventi e che, se destata con cauto e curioso desiderio, può tornare a circolare.

Come scrive Clarissa Pinkola Estés, che tanto risuona in questo lavoro: “La bambola è il simbolico homunculus. È il simbolo di quanto sta sepolto di numinoso negli esseri umani. È un piccolo e risplendente facsimile dell’io originale. Superficialmente è soltanto una bambola, ma inversamente è un pezzettino d’anima che porta la conoscenza del più grande anima-io”.

Chi sfoglia il libro può così immaginare la statura e il peso per ogni dolls, può conoscere la data in cui sono state realizzate o la città che le accoglie, e può scoprire, “dalla testa ai piedi”, le materie con cui sono fatte o soffermarsi sui vari dettagli che ritroviamo, poco più in là, in quelle vite inventate. Ma soprattutto, dopo la gioiosa sequenza attraversata da un filo rosso, spunta in copertina una tasca, dove sono riposte alcune fotografie di bambole. Sono cartoline postali, da inviare, regalare, o anche solo da conservare. È un invito, un desiderio forse, per far sì che questo filo rosso possa raggiungere molti altri luoghi e attorcigliare altri fragili e infrangibili legami.

Estratti dalle note di Flavia Armenzoni
Una bambola evoca, alla maggior parte di noi, immagini ed esperienze legate al periodo del gioco e dell’infanzia. Eppure è tanto altro; lo testimonia il fatto che ne sono pieni i musei e i negozi di souvenir di tutto il mondo. Io ho avuto l’occasione di approfondire il significato di questa figura grazie allo spettacolo Con la bambola in tasca, tratto dall’antico racconto russo di Vassilissa la Saggia, nella versione raccolta da Clarissa Pinkola Estés, Donne che corrono coi lupi (Frassinelli, 1993), spettacolo intimo e fragile, ideato con sensibilità e genialità dalla regista Letizia Quintavalla, un gioiello del teatro dedicato all’infanzia, rappresentato per oltre vent’anni, in quattro lingue e in tre continenti…
…Durante la pandemia di coronavirus, mentre tutto il mondo stava vivendo un periodo terribile, io attraversavo una vicenda estremamente complessa che mi stava strappando dal lavoro a cui avevo dedicato con passione più di quarant’anni della mia vita. È in uno di quei giorni bui che ho deciso di tenere un diario. Non scritto sulla carta, non fatto di parole, ma un diario di bambole….
Mi sono impegnata in questo gioco con estrema serietà, recuperando un sapere prezioso: le abilità artigiane e manuali apprese ed esercitate nei miei primi vent’anni di teatro, quando, oltre a recitare, creavo oggetti, pupazzi e scene.
Ho allestito un piccolo laboratorio in casa, con forbici, colle, colori e arnesi da cucito che man mano avevo ereditato da mamma, zie, nonne…
Ogni giorno volevo, dovevo, creare una bambola, ispirandomi alle tante tradizioni e leggende in cui esse sono oggetti simbolici, come quella di Vassilissa. E così, giorno dopo giorno, prendeva vita The Quarantine Dolls’ Diary.
…In quel momento così cupo, le Quarantine Dolls mi proiettavano in quel mondo che bisognava reinventare, un po’ come la mia vita; ripensandoci ora, quella piccola opera di artigianato, rappresentava un processo di recupero e trasformazione. Cosa ne avrei fatto di quella piccola “comunità” che man mano riempiva i mobili di casa mia, non ne avevo la minima idea.
Poi, verso il Natale del 2020, anche se molto a malincuore, ho venduto alcune bambole. Davo un nome a ciascuna, legavo un’etichetta su cui avevo scritto in sintesi cosa fosse il diario, e le impacchettavo con cura. Comprarle è stato un primo gesto solidale da parte di un cerchio molto ristretto di amici e amiche, tra cui Alessandra, folgorata dalla potenza che sprigionava una delle Dolls, Ulug Bey, che da subito ha sentito sua.
…Per un attimo abbiamo allontanato la rabbia e le difficoltà che ci provocava l’ingiustizia che stavamo subendo, per mettere a fuoco una cosa preziosa: in quel periodo per noi così doloroso, non ci è mai mancata una fitta trama di legami forti, intensi e affettuosi, a testimonianza del fatto che quello che si crea con anni di condivisione, di affetti, ma anche di cura, di idee e progetti, non si può distruggere. Era come una rete invisibile, che desideravamo fare emergere con un progetto al femminile: proporre a chi ne aveva preso parte in un modo o nell’altro, di inventare biografie, racconti o pensieri delle Dolls.

Estratti dalle note di Alessandra Belledi
Succede che un giorno d’inverno, dopo un letargo lungo e forzato, entra nella tua casa una strana creatura, un manufatto molto eccentrico e buffo, una specie di bambola che diventa parte degli oggetti domestici con uno scopo preciso: prendersi cura delle preoccupazioni.
È una delle “sorelle” di The Quarantine Dolls’ Diary, create da Flavia durante il lockdown del 2020. Hanno nomi strampalati come Nika, Meliha, Qut, Vriùk, Awawe, Zeya. Provengono da non si sa dove. Sono vecchie, giovani, bimbe. Diverse, particolari.
Il laborioso processo creativo di Flavia durante il lockdown mi ha stregata fin da subito, da quando Ulug Bey è entrata potentemente nella mia casa. Era il Natale 2020, la produzione di Dolls era sempre più incessante e le bambole cominciavano ad entrare nelle case di chi, amiche, parenti e non solo, aveva riconosciuto con grande sensibilità un forte potere simbolico in quell’oggetto, acquistato o avuto in dono. Un oggetto carico di potere affettivo e di indubbio valore estetico. Sì perché le Dolls, ognuna nella sua eccentrica identità, erano una più bella dell’altra…
….Questo è l’esercizio, arduo e mirabile, che abbiamo chiesto a chi ha creduto in questo progetto, decisamente incatalogabile. Le Dolls ci hanno ammaliato, hanno fatto nascere una speranza quando è iniziata una perdita. Hanno creato un coro di voci in purezza, senza mediazioni, nate dall’istinto di noi donne di generare, in questo caso, parentele e insieme guardare la nostra parte saggia. Quest’opera di messa in vita collettiva ora si trova sulle pagine di un libro che, ci auguriamo, potrà trasformarsi un domani in un ascolto, in una visione, in uno spazio collettivo di vicinanza pienamente attraversato.

 

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