Se n’è andato colui che viene unanimemente considerato il più grande pugile di tutti i tempi, ma anche il paladino dei diritti civili e dell’eguaglianza sociale
Muhammad Alì, alias Cassius Marcellus Clay prima della conversione all’Islam, è deceduto in ospedale a Phoenix, all’età di 74 anni, in seguito a complicanze respiratorie accentuate dal morbo di Parkinson. E’ stato il re dei pesi massimi per ben tre volte, l’unico al mondo a riuscirci, vincendo 56 dei 61 match disputati, mai arresosi di fronte alle difficoltà. Come lui stesso ripeteva, “non è peccato cadere, è peccato non provare a rialzarsi” (fonte: repubblica.it). Anche per questo è stato “The Greatest”, il più grande di tutti. Sul ring danzava letteralmente, “si muoveva come una farfalla e pungeva come un’ape” – raccontava di se stesso. Batteva gli avversari con la psicologia, prima ancora di salire sul ring. Ha contribuito ad accrescere la fama della nobile arte pugilistica.
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All’apice della carriera rifiutò la chiamata alle armi dello zio Sam per andare a combattere in Vietnam, perdendo il titolo e la licenza dell’associazione boxistica per oltre 3 anni. “I Vietcong non mi hanno fatto niente” – disse beffardo (fonte: huffingtonpost.it). La vera battaglia che volle combattere fu quella interna al suo paese, non solo per la pace, ma anche e soprattutto per i diritti civili degli afro-americani, fianco a fianco con Malcom X e Martin Luther King. Chi sta al di qua dell’oceano e non ha vissuto gli anni dell’apartheid potrà forse immedesimarsi nei panni del grande ex campione di basket Kareem Abdul-Jabbar, che in più occasioni dichiarò, in riferimento ad Alì: “Io sarò pure alto 2,18 metri, ma non mi sono mai sentito così alto come quando camminavo nella sua ombra”.
Se l’America oggi ha un presidente di colore molto lo si deve a Muhammad Alì, e non a caso Barack Obama ha dichiarato che grazie a lui “Il mondo è migliore e noi siamo migliori” (fonte: ilfattoquotidiano.it).
Una vera leggenda, un gigante.