A 63 anni, all’apice della celebrità, Juan Miró, uno degli artisti più significativi del Novecento, si trasferisce sull’isola di Maiorca per lavorarvi fino alla morte avvenuta nell’83. Èqui che l’amico architetto Josep Lluìs Sert progetterà il suo primo, vero e tanto desiderato studio: una struttura su due piani bianca candida ben inserita con la bellezza incontaminata dell’isola, immersa in un giardino fronte mare con finestre di alabastro filtranti una luce intensa naturale. L’artista in questo edificio -l’attuale Fondazione Pilar i Joan Miró- si dedicherà a creare tele, ceramiche, sculture caratterizzate dal suo inconfondibile stile, carico di un’energia rinnovata, ancora più libera e trasgressiva degli anni precedenti in perfetta sinergia con la terra delle Baleari. Ed è da questa casa-museo maiorchina rimasta completamente intatta dopo la morte del maestro proprio così come lui l’aveva lasciata con i suoi 5.000 pezzi, le tele incompiute sui cavalletti, i barattoli di colore, i pennelli, e gli oggetti cari e fonte d’ispirazione – che provengono le opere della mostra organizzata da Arthemisia attualmente in corso presso la sede di Palazzo Albergati di Bologna.
Il percorso espositivo che consta di 130 opere (di cui 100 olii) segue la produzione dell’artista catalano nella sua esclusiva e varia originalità. I pezzi visibili, pur sfuggendo ad una classificazione univoca, recano tracce del Surrealismo, del Primitivismo, dell’Action painting americana, della cultura popolare, della pittura rupestre e dell’arte calligrafica giapponese; si tratta di “miroglifici”- per usare un neologismo coniato da Raymond Queneau- inconfondibili, onirici, ironici, enigmatici, mai troppo casuali quanto piuttosto universi segnici che formano una vera e propria lingua con una grammatica specifica. Il percorso espositivo curato da Pilar Baos Rodrígueze Francisco Copado Carralero riunisce un importante nucleo di lavori eterogenei volti a sottolineare la versatilità e la sete di sperimentalismo che alimentava l’indole di Miró tutti accomunati da una forza strutturale di fondo: si pensi al lavoro ready made creato con le pagine di un quotidiano o all’opera che come supporto non adotta una tela perfettamente tirata bensì ruvida cartavetrata con legno e chiodi.
I temi cari all’artista che prevalgono nella produzione in mostra sono quelli noti al grande pubblico: donne (simbolo ancestrale di fertilità), uccelli, stelle, lune, lettere. I lavori esposti sono ora dominati da colori primari quali il rosso, il blu, il giallo ora tele monocrome di un bianco e nero ben calibrato; non mancano litografie, collages, terrecotte “chanota” più consistenti dell’argilla, ed opere in cui traspare l’influenza della pittura astratta americana (Miró a volte dipingeva mettendo il quadro sul pavimento in una pittura gestuale da rito sciamanico lasciando sulla tela sgocciolature ed impronte delle sue mani).
Il percorso è arricchito dalla ricostruzione dello studio dell’artista, da un’ampia selezione di foto e da un video finale proiettato sul soffitto del palazzo visibile comodamente da sdraiati in una prospettiva insolita e non convenzionale in linea con la poetica dell’artista.
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Mirò! Sogno e colore
Bologna, Palazzo Albergati
Via Saragozza 28
11 aprile-17 settembre