Nel 1971, dopo il debutto parigino dello spettacolo di Robert Wilson Deafman Glance, precedentemente presentato ad Avignone, Louis Aragon scrisse una virtuale lettera indirizzata all’amico, e coautore del Manifesto Surrealista del 1925, André Breton, morto ormai da cinque anni, in cui descrisse il lavoro come la celebrazione di quel teatro che il loro movimento non era riuscito a realizzare. Avvalendosi di molti attori, tutti sordomuti, Wilson riuscì a narrare, con il solo utilizzo dell’immagine, l’azione criminale di una donna che uccide tutti i suoi figli, aiutata da un assistente. Uno spettacolo di quattro ore assolutamente surreale, in cui venne celebrato il silenzio prolungato come forma di linguaggio teatrale, al punto che Eugéne Ionesco, in una recensione, scrisse che Wilson era andato “più lontano di Beckett”. Da sempre vicino al suo mondo, Wilson decise solo nel 2011, dopo trentacinque anni, di confrontarsi con il drammaturgo irlandese attraverso Krapp’s Last Tape, atto unico che debuttò il 28 ottobre 1958 al Royal Court Theatre di Londra. Krapp, un uomo anziano, celebra il suo settantesimo compleanno, come tutti i precedenti fin dalla gioventù, preparando una bobina in cui registra le sue considerazioni sull’anno trascorso, una consuetudine che gli permette di mantenere vivi i ricordi del passato. Prima d’iniziare la nuova registrazione, ascolta un nastro di trent’anni prima, in cui sente la voce di un uomo nel pieno delle sue energie che parla in modo speranzoso del proprio futuro, e stenta a riconoscersi in lui. In quel nastro il giovane Krapp fa una dissertazione filosofica sull’inevitabile rottura con una donna dal nome presunto di Effi, pregustando nuove e più avvincenti conquiste. Un passaggio del nastro che il più maturo Krapp sente più volte, ripetutamente, rendendosi così conto che quella donna è stata l’ultimo grande amore della sua vita, per sempre perduto, e con esso la possibilità di raggiungere la felicità. Lo spettacolo di Wilson inizia dentro una grande stanza assediata da un diluvio, dove Krapp rimane fermo per diversi minuti, circondato da un’aura spettrale, mentre il suono dell’acqua scandito dai tuoni sembra voler lavare e cancellare i risentimenti di una vita insieme agli oggetti che la rappresentano. Il lavoro è una celebrazione del concetto wilsoniano del rapporto tra tempo, luce e spazio, con dilatazioni dei gesti seguite da azioni rapide e violente, e i ritmi onirici della registrazione in ossimoro all’ironia amara del presente. Un gioco di maestria registica che si muove dentro i confini del pensiero beckettiano, l’espressione di una semantica teatrale in cui il clownesco Krapp sembra potersi muovere con assoluta libertà espressiva, oltre ogni regola di percezione fisica. Con questo spettacolo l’artista texano ha inaugurato il 20 ottobre l’apertura del Teatro dell’Arte nell’inedita esperienza che vede legati il nuovo CRT Milano e la Triennale, trentasette anni dopo aver portato in scena, nel maggio 1976, presso il Salone di via Ulisse Dini, una performance tratta dalla sua opera A Letter for Queen Victoria, spettacolo che aveva debuttato in Europa e a New York nei due anni precedenti. Una presenza che non è puramente simbolica, ma che prelude a una residenza dell’artista e al suo nuovo lavoro The Old Woman di Daniil Kharms, interpretato da Mikhail Baryshnikov e Willem Dafoe, già presentato a Manchester, Spoleto e Atene, in scena il prossimo anno, e introduce nel frattempo il primo esperimento di cohousing Housemates 1.0, attualmente in corso d’opera, un progetto di coesistenza teatrale tra alcuni giovani gruppi della sperimentazione. Un ritorno, quello di Robert Wilson, che vara la sfida di un diverso concept teatrale, in cui la stessa fruizione dello spazio diviene elemento sostanziale per la futura drammaturgia.
ROBERT WILSON in:
L’ultimo nastro di Krapp (Krapp’s Last Tape) di Samuel Beckett
Milano, Triennale Teatro dell’Arte, viale Alemagna 6
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Domenica 20 ottobre 2013 ore 19,30
www.triennale.org
www.crtmilano.it