Francesco Leschiera con Opera Antigone reinterpreta il capolavoro di Sofocle al Teatro Litta di Milano
In scena al Teatro Litta di Milano fino a domenica 26 novembre, Opera Antigone, ultimo lavoro del Teatro del Simposio per la regia di Francesco Leschiera, è una riproposizione in chiave post-moderna della tragedia di Sofocle focalizzando il punto di vista di un personaggio generalmente considerato marginale, quello di Ismene, la sorella della protagonista Antigone.
La vicenda è nota: Creonte, fratello di Giocasta, diviene re di Tebe dopo che i fratelli Eteocle e Polinice, figli di Edipo, combattendo per il trono della città si sono dati vicendevolmente la morte. Il nuovo sovrano ritiene il primo un eroe e il secondo un traditore, e ordina che il corpo di Eteocle abbia le giuste onoranze funebri lasciando insepolto quello di Polinice. Antigone, la sorella più piccola, informa Ismene delle intenzioni del re, e contro la sua opinione trasgredisce l’ordinanza del sovrano cercando di dare una degna sepoltura anche al fratello Polinice, secondo quella che ritiene essere la volontà degli dei.
Una volta scoperta da una guardia, viene condotta davanti al re, che non conosce ragione. Fa seppellire viva la ragazza in una grotta, e quando finalmente l’indovino Tiresia riesce a convincerlo del suo errore è troppo tardi. Antigone si è già data la morte con l’impiccagione per evitare la segregazione a vita. Emone, figlio di Creonte, innamorato e promesso sposo della fanciulla, tenta di colpire nel sepolcro il padre con una spada e non riuscendoci si trafigge il fianco per abbracciare, in un ultimo gesto d’amore, l’amata Antigone. Euridice, madre del ragazzo, si suicida a sua volta maledicendo il sovrano consorte, che rimane solo a meditare sui suoi errori e invoca anche per sé la fine.
Se da un lato l’ostinazione di Creonte, re di Tebe, a lasciare insepolto Polinice scatena la ribellione della giovane Antigone che diviene così l’archetipo dell’eroina contro le ingiustizie del potere costituito, dall’altra la disperazione del sovrano, rimasto solo a meditare sui suicidi di Emone e della moglie Euridice, è considerata conseguenza del comportamento trasgressivo della ragazza nei confronti dell’editto reale.
La domanda da quasi 2.500 anni, da quando cioè l’opera debuttò per la prima volta alle Grande Dionisie di Atene nel 442 a.C, ha sempre diviso gli artisti e intellettuali dell’Occidente è in merito alla giustezza o meno del comportamento di Antigone. È opportuna la sua ribellione nei confronti della legge? Il sentimento e la pietà possono prevalere sulla ragione di Stato?
La simpatia del mondo contemporaneo nei confronti di Antigone, simbolo di una femminilità antagonista del potere maschile peraltro in una società, come quella dell’antica Grecia, in cui le donne non avevano alcuna considerazione se non quella di essere spose e madri, è ben nota, mentre la figura di Ismene, la sorella maggiore che tenta inutilmente di seguire Antigone nel suo tragico destino dopo l’arresto, è rimasta in ombra. Nello spettacolo di Leschiera assume lo stesso ruolo di Orazio nell’Amleto, ovvero quello di essere la testimone superstite di tutti gli accadimenti drammatici del palazzo in cui ha vissuto, dove ha passato i momenti felici della giovinezza, prima della scia sanguinosa che distruggerà la sua famiglia e che le luci di scena, nella variazione dal rosso acceso verso il purpureo e il bianco, suggeriscono.
Efficace l’intuizione registica d’inserire già in apertura il fischio di un treno e il ticchettio del telegrafo, emuli di una corsa dall’antichità al presente e la trasmissione di un contenuto fino a oggi trascurato. L’accompagnamento musicale di Walter Bagnato crea una sinergia drammaturgica sonora, un dialogo con il testo classico rivisitato che contribuisce, come i costumi, ad attualizzare Antigone. La presenza di alcuni attori tra gli spettatori ci porta poi a vivere come una cronaca la vicenda tebana, grazie anche alla narrazione di un corifeo da un pulpito variabile.
Ismene apre lo spettacolo e lo chiude lamentando il fatto che Antigone abbia preferito morire per la sepoltura di un fratello ucciso piuttosto che restare a vivere con lei.
La sua sofferenza è un’altra chiave di lettura della tragedia, un inno smorzato alla vita, che i simboli di potere e ribellione hanno negato e che in fondo rappresenta la speranza di una pax nella contemporaneità. Un’interpretazione insolita, che si può non condividere, ma che ci costringe a una riflessione sulle relazioni umane, i conflitti, e le opportunità di vita perdute.
Giudizio: ***1/2
Produzione TEATRO DEL SIMPOSIO
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Opera Antigoneda Sofocle
Elaborazione drammaturgica di Antonello Antinolfi, Francesco Leschiera, Giulia Lombezzi
prima nazionale
Con Ettore Distasio, Ermanno Rovella, Giulia Pes, Andrea Magnelli, Veronica Franzosi
Musicista: Walter Bagnato
Regia di Francesco Leschiera
Scene e costumi: Paola Ghiano, Francesco Leschiera
Luci: Luca Lombardi
Elaborazioni e scelte musicali: Walter Bagnato, Antonello Antinolfi
Assistente alla regia: Alessandro Macchi
Grafica: Valter Minelli
Milano, MTM Teatro Litta, Corso Magenta 24
Dal 21 al 26 novembre 2017
www.mtmteatro.it