Dal saggio Storia della colonna infame di Alessandro Manzoni, sulle responsabilità del potere in rapporto alle credenze collettive, la riproposizione di un capolavoro di ricerca teatrale del 2012 firmato da Silvio Castiglioni
Saggio tratto in gran parte dalle notizie presenti in De peste Mediolani quae fuit anno 1630 del dotto presbitero Giuseppe Ripamonti, lo stesso testo che ispirò Osservazioni sulla tortura di Pietro Verri, Storia della colonna infame di Alessandro Manzoni fu un lavoro letterario di ricerca storica che fece discutere i filosofi e gli intellettuali per la chiave di lettura che l’autore diede ai tragici fatti legati alla condanna come “untori” del barbiere Gian Giacomo Mora e il commissario di sanità Guglielmo Piazza.
Pensato inizialmente come capitolo de I promessi sposi, il lungo brano venne pubblicato in tomo per la prima volta nel 1840 con una suggestiva opera grafica curata dal pittore e incisore Francesco Gonin. Diversamente dal Verri, che nel suo testo del 1760 concentrò i suoi sforzi in direzione di una visione illuministica della giustizia che non doveva più prevedere l’uso della tortura, ispirando di fatto il capolavoro Dei delitti e delle pene del collega giurista Cesare Beccaria, Manzoni affronta l’ineluttabilità del male nel singolo in relazione alle credenze popolari e collettive del tempo, affondando la sua penna nell’accusa di abuso di potere dei magistrati che condussero i condannati alla disumana pena mortale della ruota e successiva edificazione della “colonna infame” con le macerie dell’abitazione-bottega del barbiere.
L’opera fu difesa da Leonardo Sciascia, che definì i giudici “burocrati del male” e accostò le loro sentenze come i provvedimenti nei confronti dei presunti untori alla stregua della caccia alle streghe perpetrata nei confronti di qualsiasi pensiero politico considerato pericoloso a un organismo di potere, nei sistemi totalitari come purtroppo in tempi recenti nel nostro stesso Paese con la motivazione di voler fronteggiare il terrorismo.
Il lavoro conobbe un primo adattamento teatrale con la commedia La colonna infame del 1962 scritta da Dino Buzzati, che vide in scena gli attori Piero Nuti, Giustino Durano e Paolo Poli, e uno cinematografico con l’omonimo film del 1972 di Nelo Risi. Nel marzo 2012 debuttò al Crt Salone di Milano un’altra opera teatrale ispirata al saggio ottocentesco, un progetto di Silvio Castiglioni ispirato da Sisto Dalla Palma, interpretato dallo stesso ideatore con Emanuela Villagrossi per la regia di Giovanni Guerrieri, dove lo spirito della denuncia manzoniana si riveste di contemporaneo con l’uso costante pur mitigato di una crudeltà di pensiero.
In un periodo come questo, dove il coronavirus sollecita come la peste di quattro secoli fa l’identificativo superstizioso di un capro espiatorio da ricercarsi in un virtuale nemico dell’Occidente, non scevro da suggestioni orwelliane di controllo sociale, il saggio di Manzoni come il lavoro teatrale di Castiglioni divengono strumenti utili al mantenimento di una soglia cosciente di attenzione che prevalga su qualsiasi esercizio irrazionale legato alla comunicazione della paura. Propongo, come cover editoriale della settimana, la rilettura del pezzo che scrissi su Punto e Linea Magazine dopo aver visto quell’indimenticabile spettacolo, oggi più attuale che mai per stimoli e contenuti.
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Storia della colonna infame. Quando Alessandro Manzoni svelò la sua Milano
Claudio Elli, 16 marzo 2012