Savitri è la divinità solare cara alla tradizione vedica che tutto illumina e genera la vita, distruggendo l’oscurità in cui regna l’inconsapevolezza. A lei è dedicato uno dei mantra più potenti, il Gāyatrīmantra, e una leggenda riportata nel Mahābhārata, uno dei più grandi poemi epici indiani, che narra una bellissima storia d’amore, quella della figlia del Re dei Cavalli Aswapati che regnava nell’attuale Afganistan, chiamata con lo stesso nome della dea dopo che ella apparve al padre per annunciargli la nascita della bambina, e il principe Satyavan, figlio del Re Dyumatsena, che dopo essere stato detronizzato si trovava con la famiglia in un luogo abitato da soli uomini saggi disgustati del mondo dove non si uccideva nessuno da millenni. La giovane principessa Savitri s’innamorò di Satyavan e nonostante un saggio predisse un destino nefasto per il giovane, ovvero che entro un anno esatto dalle nozze sarebbe morto, la principessa decise ugualmente di sposarlo e andare ad abitare con lui in una capanna nel bosco. Alla sua morte, avvenuta puntualmente come annunciato, Savitri non volle abbandonare il marito e seguì Yama, il dio della morte, dopo che era venuto a prendere il defunto. Yama si commosse di fronte a tanta dedizione e concesse alla donna di esprimere due desideri che non fossero la vita del marito, e la donna chiese la la restituzione di vista e ricchezze al suocero. Ma con la concessione di un terzo, avvenuta dopo che Savitri dimostrò con la sua tenacia di voler seguire ovunque, sia nei cieli sia negli inferi, il destino di Satyavan, la donna chiese che la stirpe del suocero non si estinguesse e che il marito fosse il padre dei suoi figli. Con questa richiesta Yama s’impietosì, al punto da restituire l’anima del coniuge alla moglie, e l’amore vinse sulla morte. Una storia suggesrtiva che, al di là del forte sentimento trionfatore sulle tenebre, nasconde un significato esoterico ancora più profondo. Secondo il mistico e filosofo indiano Sri Aurobindo, Satayan è l’anima che porta in sé la divina verità d’essere, purtroppo calata nella morsa stretta dell’ignoranza, mentre Savitri è quella dea figlia del Sole che con la sua parola divina discende per salvare.
Su Punto e Linea Magazine s’inaugura a partire da questo numero doppio Il Raggio di Savitri, una rubrica non periodica dove vengono pubblicati racconti, poesie, saggi su argomenti di volta in volta diversi, con l’intento di “illuminare” i temi affrontati in tutte le loro sfaccettature. In omaggio alla leggenda di Savitri questa prima uscita viene dedicata all’Amore, con una serie di componimenti firmati da vari autori a partire da un personale tributo con una strofa inserita nello spettacoloSophia, scritto da me con le musiche di Massimo Carrieri, che vede la translatio fidei dell’immolazione eucaristica in una farfalla, simbolo di evoluzione e libertà. Sono riportati di seguito il racconto Il pittore,l’affresco romantico di un sentimento che sfida ogni tempo e supera la stessa fisicità dei protagonisti, e la poesia Anime antiche, entrambi di Laura Mantovani, una docente di lingue già vincitrice di importanti premi letterari. E se la poesia menzionata porta a una riconsiderazione della natura misterica di Psiche, Luigi Gulizia riesce a porre l’attenzione sull’importanza di Eros nel complesso universo umano. L’ironia di un giocoso “amor patrio” legato alla figura di Garibaldi nel satirico poemetto di Paola Raimondi e l’intensità della poetica di Gaia Gulizia, dove l’illuminazione poetica diviene il pane che solo l’unione di corpo e spirito in empatia con la propria sfera conoscitiva può creare, concludono la rassegna. Buona lettura!
l’amore è una farfalla blu di luglio che vorrebbe abbattersi
al suolo, per donare il suo minuscolo
corpo decomposto all’immensità della terra…
(Dalla silloge Oportet et hareses esse, inserito in Sophia. Alchimia multisensoriale di Claudio Elli, Bevivino Editore, 2004, Milano)
IL PITTORE di Laura Mantovani
Il 15 ottobre di tre anni fa fu una data tristemente storica per Rossana: il giorno della morte di Giulio Patané, noto a molti come “Il Pittore”.
Non fu certo una scomparsa prematura: aveva ottantotto anni suonati, anche se indubbiamente ne dimostrava una decina in meno.
Soprattutto da quando nella sua vita era entrata Rossana, sembrava ringiovanito ed avere riacquistato quel portamento vivace e quello spirito arguto che si erano affievoliti parecchi anni prima con la perdita della moglie.
Un giorno, forse mosso da uno strano presentimento, si era sforzato con fatica di buttarsi alle spalle la depressione ed aveva tentato di riprendere in mano i pennelli. Si era addirittura costretto ad iscriversi ad un corso di lingua spagnola per la terza età. Aveva deciso di reagire.
L’aula del Centro Culturale per la Terza Età era ancora deserta, quando Rossana vi fece il suo ingresso il primo giorno del corso di spagnolo. Era arrivata decisamente un po’ troppo in anticipo, ma pur essendo una veterana dell’insegnamento, anzi una prof ormai in pensione, si sentiva emozionata quasi come quando, in un passato ormai piuttosto remoto, aveva affrontato per la prima volta una classe.
Non aveva mai insegnato a persone adulte ed era entusiasta di provare una nuova esperienza didattica, che aveva accettato un po’ per la passione dell’insegnamento, ma anche per uscire da un periodo di solitudine in cui si era venuta a trovare dopo la morte del marito ed il trasferimento della figlia in un’altra città.
Notò che i tavoli e le sedie erano male allineati e mentre attendeva l’arrivo dei corsisti, incominciò a ridisporli in modo più ordinato.
Ad un tratto una voce maschile le domandò: «Si è iscritta anche Lei al corso di spagnolo?»
Rossana non si era accorta che un distinto signore era entrato nell’aula e stava per prendere posto di fronte alla lavagna.
Smise di sistemare i banchi e con aria divertita rispose: “Veramente io sono l’insegnante!”.
«Oh, mi scusi tanto!», esclamò l’anziano signore con un certo imbarazzo, «Non mi era mai successo prima d’ora di vedere un docente preoccuparsi di qualcosa che non fosse salire in cattedra.»
Rossana colse l’ironia che si celava nelle parole dell’uomo, ma non ebbe il tempo di ribattere perché i corsisti stavano sopraggiungendo numerosi.
La lezione si svolse tranquillamente e il Signor Giulio Patanè, chiaramente di origine sicula, non distolse un attimo il suo sguardo penetrante ed intelligente da Rossana, che lo sostenne per tutta l’ora con ineccepibile distacco pedagogico.
Il corso proseguì con successo e il Signor Patanè era fra i corsisti più assidui ed impegnati.
Poi, all’improvviso, prima della chiusura del corso, smise di frequentare e Rossana non riuscì a spiegarsene la ragione.
Nessuno aveva sue notizie o sapeva dirle qualcosa. Rossana ci rimase male, ma poi decise che in fondo non spettava a lei indagare nella vita di uno sconosciuto.
Passarono i mesi estivi. I corsi avrebbero ripreso a fine settembre e Rossana era curiosa ed ansiosa di vedere se Patanè si fosse ripresentato. Ma non accadde.
Dopo un primo momento di delusione mista a una lieve preoccupazione, si rassegnò all’idea che non lo avrebbe mai più rivisto.
Finché non si avvicinò il periodo natalizio. Il Centro aveva organizzato per l’occasione un saggio in cui ogni classe, a seconda della disciplina di insegnamento, avrebbe dovuto partecipare con canti, scenette ed altri intrattenimenti.
Rossana e la sua classe avevano preparato una serie di canti natalizi spagnoli.
Arrivò il giorno dello spettacolo che si tenne nel teatrino del Centro. Gli spettatori erano numerosi e gli applausi non mancarono.
All’uscita, Rossana sentì una voce maschile che la chiamava. Si voltò e riconobbe con sorpresa il signor Patanè che si congratulò per la buona riuscita del saggio.
Non ne aveva notato la presenza tra il pubblico, ma fu sinceramente felice di trovarlo in perfetta forma e gli chiese il motivo della sua lunga assenza.
Patanè le spiegò che era stato molto impegnato con alcune mostre dei suoi quadri. E così Rossana scoprì con piacere che il suo ex-alunno faceva il pittore, era membro di un gruppo di artisti piuttosto quotati e lui stesso aveva vinto dei premi per i quadri veristi, in cui era specializzato.
Prima di congedarsi, il pittore le diede un biglietto da visita invitandola alla sua prossima mostra che avrebbe avuto luogo in una villa alle porte di Milano tra un paio di settimane.
Rossana decise di andarci e per l’occasione si vestì con particolare eleganza, cercando di scacciare il sospetto che quell’uomo fosse interessato a lei, nonostante la trattasse con burbera galanteria.
Doveva ammettere che le piaceva. Era incuriosita dalla sua aria da distinto bohémien, dalla sua innata ricercatezza e, soprattutto, dal fatto che fosse un artista. Era sempre stata affascinata dagli artisti, anche se aveva sposato un matematico, poco incline per tutto ciò che non poteva essere spiegato razionalmente.
Il giorno della mostra il pittore la chiamò e si offrì di accompagnarla in auto: un inaspettato gesto di galanteria che la riempì di entusiasmo.
Rossana ammirò i quadri di Giulio Patanè con profondo interesse. Non era una vera intenditrice di pittura, i suoi giudizi erano più emotivi che tecnici, ma non rimase delusa perché i dipinti che aveva di fronte a sé
sprigionavano forti emozioni, persino quelli che in apparenza ritraevano semplici paesaggi.
Non c’erano dubbi: quell’uomo era un individuo fuori dal comune, un maschio che, sotto una scorza un po’ ruvida, nascondeva profondi sentimenti e un cuore nobile.
Nei giorni seguenti, Rossana inviò una lettera di congratulazioni al pittore elogiando i suoi quadri e lui le rispose con una frase molto eloquente: “Signora Rossana, sono lusingato per i Suoi commenti positivi sul mio conto e desidero comunque ribadire che, se io sono un valente pittore ed un uomo di buoni sentimenti, anche Lei, oltre ad essere una docente di alto livello, è una donna dalla squisita femminilità, che traspare dalla sua aria intellettuale”.
Forse questa fu la prima velata dichiarazione d’amore del pittore che, da quel momento, riuscì a conciliare sapientemente i suoi impegni artistici con i corsi di lingua spagnola che si concludevano ormai quasi sempre con una sosta al bar per un caffè e quattro chiacchiere con Rossana.
Finché si presentò la grande occasione. Il Centro aveva organizzato una gita a Mantova a cui parteciparono entrambi.
In pullman occuparono due posti vicini e non si annoiarono di certo. Pur sentendosi parte del gruppo, avevano l’impressione di essere loro due soli.
Arrivati a destinazione, faticavano a seguire gli altri e spesso si estraniavano per ammirare dettagli particolari della città che la guida non aveva inserito nel programma e sui quali il pittore aveva molto da dire.
Durante il pranzo al ristorante, scoprirono anche di essere entrambi buongustai ed il cibo appetitoso, innaffiato da qualche bicchiere di vino, aumentò la loro allegria.
Quando nel pomeriggio il gruppo fu indirizzato verso un parco ombroso per rilassarsi prima del rientro a Milano, Giulio e Rossana si isolarono su una panchina come due giovani innamorati.
E, in realtà, così si sentivano, dimentichi della loro età matura. Non furono necessarie parole perché le loro labbra si unissero in un bacio intenso e appassionato.
Quando si ricomposero, Rossana era trasognata e raggiante di felicità, ma notò un’ombra di malinconia sul volto di Giulio, che la turbò.
«Sei già pentito?», gli chiese.
Lui la guardò con un sorriso e rispose: «No, al contrario, sono molto contento, ma mi sento egoista nei tuoi confronti, Rossana.»
«Egoista?!», esclamò lei e aggiunse allibita: «Ma se mi stai regalando la felicità che credevo di non ritrovare mai più!»
Allora Giulio replicò turbato: «Sì, ma non ne ho il diritto, Rossana. Io ho ottantaquattro anni e tu sei poco più che sessantenne. Hai ancora davanti tanto futuro, mentre io sono ormai alla fine. Ti meriti un uomo più giovane. È meglio rinunciare ad amarci, soffriremmo troppo, credimi.»
Rossana non era affatto d’accordo e si arrabbiò. Abbandonò la panchina e tornò al pullman da sola. Durante il viaggio di rientro non gli rivolse la parola, ma avvertiva il suo sguardo che la sfiorava.
Quando furono a Milano e si salutarono, prima di avviarsi verso le rispettive abitazioni, che purtroppo non erano vicine, accadde però qualcosa che ormai non si sarebbe più aspettata.
Giulio le disse, con un tono di voce appena percettibile e quasi timido:
«Rossana, non andartene, ti prego.»
Fu l’inizio della tormentata storia di un amore senile, un amore contrastato e forte al tempo stesso, quasi una tacita sfida contro il tempo e la morte che aleggiava sopra di loro come una spietata spada di Damocle.
Rossana non era più riuscita ad aprire il cassetto in cui aveva riposto le numerose poesie che il suo amore per Giulio le aveva ispirato e che aveva persino tradotto in spagnolo, per leggergliele anche in quella lingua dai suoni dolci e maestosi che entrambi amavano.
Le riusciva impossibile persino guardare il ritratto che lui le aveva dipinto in occasione di un compleanno. Un quadro che non ritraeva soltanto il suo volto, ma anche la sua anima.
Dal giorno della cerimonia funebre e dello spargimento delle sue ceneri in mare, come lui aveva desiderato, quel ritratto e quel cofanetto di velluto rosso, che racchiudeva gelosamente i suoi versi d’amore, erano diventati per Rossana una piaga sanguinante, un ricordo troppo straziante che non si sentiva di far riemergere. Inoltre negli ultimi mesi il suo cure si era indebolito e il medico le aveva proibito forti emozioni.
Tuttavia il tempo, si sa, rimargina le ferite, e anche Rossana credette che la sua ferita si fosse sufficientemente rimarginata.
Era un 15 ottobre grigio, che evocava i ricordi, e Rossana osò aprire il cofanetto per rivivere, con romantica nostalgia, le fasi più salienti e le sensazioni più intense di quella storia d’amore fugace, ma graffiante e indelebile, attraverso i versi che lei stessa le aveva dedicato.
Si sedette sul divano di fronte al quadro che la ritraeva ed estrasse alcune poesie dal cofanetto.
Ne rilesse alcune in ordine cronologico per ripercorrere la sua storia con Giulio come se dipanasse il tempo avvolto in una matassa. E si abbandonò ai ricordi.
Il fiume
Quando il barcaiolo mi traghettò lungo il fiume tumultuoso,
tu già mi aspettavi paziente sulla riva lontana.
Io temevo di naufragare nei flutti travolgenti,
dove la barca ondeggiava spaventosamente,
e pareva inabissarsi.
Mi aggrappavo al barcaiolo che, imperterrito,
continuava a remare.
Molte volte la mia speranza
di raggiungere incolume la riva vacillò.
Tuttavia tenni duro finché un giorno
scorsi all’orizzonte una figura elegante
che sedeva sulla riva in attesa.
Man mano che la barca si avvicinava,
capii che era un uomo con il tuo volto.
Avevo raggiunto la meta.
Affondai le mie pupille nelle tue
e una sublime dolcezza mi invase.
Nel boschetto
Passeggiamo al crepuscolo
in un romantico boschetto,
mentre gli ultimi raggi del sole
indorano il verde del fogliame
e il dolce fragore di una cascata
diventa musica soave.
All’improvviso ti fermi,
mi guardi con occhi incantatori
e mi sussurri: «Ti amo!».
Il mondo si dissolve intorno a me
e sento che sarebbe valsa la pena esistere
anche soltanto per vivere
un istante come questo.
Felicità
Dicono che la felicità non esista,
che ci siano solo attimi fugaci
in cui ci illudiamo di dimenticare la tristezza.
Lo credevo anch’io,
prima di incontrarti,
prima di riconoscere tra migliaia di occhi
il tuo sguardo capace di leggermi l’anima.
Dicono che il tempo attenui la passione,
che tutto diventi monotona routine,
e si cercano nuove emozioni.
Pensavo la stessa cosa,
prima che la mia esistenza si legasse alla tua.
Ogni giorno il nostro amore rinasce,
si rinnova come le stagioni,
torna a sbocciare come le gemme a primavera,
e la parola noia ci è sconosciuta.
Fugge il tempo
Fugge il nostro tempo,
ma non il nostro amore
che cresce inesorabilmente
per andare oltre il nostro tempo.
Fugge il nostro tempo,
ma non svaniranno le tracce delle tue mani
posate sulla mia spalla
mentre camminiamo,
né sparirà la luce dei tuoi occhi dentro i miei.
Rossana socchiuse le palpebre e fu assalita da un sonno profondo da cui non si risvegliò, come se un ladro invisibile le avesse rubato l’anima.
ANIME ANTICHE di Laura Mantovani
Le anime antiche non si nascondono
nei meandri oscuri del passato.
Non muoiono mai, sono eterne,
ma difficili da trovare.
Chi sono? Dove vivono?
A volte si celano nelle creature incomprese,
malinconiche o inusuali,
quelle segnate a dito
da chi si crede normale,
ma che spesso è soltanto banale.
Persino la follia, l’emarginazione,
il sublime di ogni espressione artistica,
e il silenzio eloquente degli animali
danno rifugio alle anime antiche,
che vagano perennemente
alla disperata ricerca di verità,
di sentimenti autentici,
di profonda giustizia e amore incondizionato.
Esitano a farsi riconoscere,
pietrificate dal terrore
di essere annientate e schernite
da coloro che vanno predicando
falsi valori, basati sull’inganno,
l’ipocrisia e la menzogna.
Da INDAGINE PRELIMINARE SUL CONCETTO DI EROS di Luigi Gulizia
La Vita non è che un unico, infinito atto di Piacere, poiché per vivere bisogna trovare godimento nell’atto stesso di vivere. Vita e Piacere sono forze unite e coincidenti ma, qualora separate, conducono l’individuo nella direzione del Dolore e della Morte, laddove ogni possibilità di provare piacere è estinta.
Ma la Vita è anche, e contemporaneamente, atto generativo di infinite forme di esistenza che traggono pur sempre dal Piacere di vivere la propria causa fecondante originaria.
Se così non fosse, i suoni, le luci e i colori che scandiscono il ritmo eterno dell’Universo non potrebbero esistere per il semplice motivo che lo stesso Universo non esisterebbe e, con esso, la Vita e il piacere della Vita.
(In La caduta di Eros di Luigi Gulizia, Cap. 1¶ 2, Collana Heterodoxa, Antonio Tombolini Editore, 2016, Milano)
BALLATA: GARIBALDI di Paola Raimondi
Quando la mattina
pulisco le verze
e mi bevo una lattina,
con la mente
E Garibaldi
arriva al trotto!
“Oh, sior Garibaldo,
sei forte e gagliardo!”
gli fo io.
“L’Italia è unita
o ancor divisa?
E che bella camisa,
camicia rossa!!!!
Dormivo della grossa
e ti sognavo
stanotte…
ma guarda un po’,
hai anche le scarpe rotte!
A furia di girar
per tutto lo Stivale,
poveri piedi,
ti faranno male!”
Garibaldo
è un po’ spavaldo:
mi fa la voce grossa,
sguaina la baionetta
e urla:
“Sei perfetta!
Sei meglio dell’Anita!
(seppur mai
l’ho tradita!)
L’Italia è fatta, sì,
ma che fatica!
Pare il vestito
di Arlecchino:
ogni regione
un pezzettino.
Non è che hai pronto
un risottino?”
Ci sediamo al tavolo
e lui,
così possente,
a furia di guardarmi,
non mangia
quasi niente.
“Ma Beppe,
mio Peppino,
ti duole l’intestino?”
“Intestina
è stata la guerra!”
risponde lui;
e tra le braccia
mi stringe, mi serra,
mi torce
fino a svenimento.
E mi ritrovo,
sola,
a sproloquiar
sul pavimento.
(da Venti (d’)incontri e altre ballate di Paola Maria Raimondi, We Edizioni, 2023, Milano)
SPEZZO IL PANE… di Gaia Gulizia
Spezzo il pane
osservo il sole
rotola sulla mia lingua
come mollica di vita
annuso ed espiro
un nuovo respiro
sa di pane
di vita vissuta
impasto pane
creo poesia
con il corpo e lo spirito
con la terra e il cielo.
(da La Natura della Luce di Gaia Diana Dalia Gulizia, Poesia n°13, We Edizioni, 2022, Milano)
Il Raggio di Savitri vi dà appuntamento a una prossima esposizioneletterario-poetica a tema, sempre in relazione allo scopo per cui questa rubrica è nata. Come la mitografia di riferimento suggerisce, la nostra ambizione è quella di creare le basi per una maggiore consapevolezza sul cosmo in cui l’umanità è immersa. Ciò può essere reso possibile con un percorso luminoso che amplia la conoscenza, una visione d’insieme dove si riesce a scorgere il principio dell’orizzonte, raggiungendo quel punto, come ricorda Lovecraft, in cui il mare si congiunge al cielo.