Foto: Paul Cézanne, Il Negro Scipione (Le Négre Scipion), olio su tela, cm. 107 x 83, 1866 © Museu de Arte, San Paolo del Brasile
Foto: Paul Cézanne, Il Negro Scipione (Le Négre Scipion), olio su tela, cm. 107 x 83, 1866 © Museu de Arte, San Paolo del Brasile
Foto: Paul Cézanne, Il Negro Scipione (Le Négre Scipion), olio su tela, cm. 107 x 83, 1866 © Museu de Arte, San Paolo del Brasile

Dipinto nel 1866, la tela del giovane Paul Cezanne è oggi al centro di una polemica per il titolo, attribuito dagli esponenti della “cancel culture” di matrice razzista

Considerato il capolavoro giovanile di Paul Cézanne (Aix-en-Provence, 19 gennaio 1839 – 22 ottobre 1906), Il Negro Scipione (il cui titolo originale è Le Nègre Scipion) fu dipinto quando l’artista frequentava a Parigi l’Académie Suisse, tra il 1865 e il 1870, interpretando un modello, quello di Scipione, molto ricorrente tra gli studenti di quell’Istituto.

Il quadro, conservato al Museo d’arte di San Paolo in Brasile, sarà presente nell’esposizione alla Tate Gallery di Londra il prossimo ottobre, ma – a sorpresa, come riportato da molti rotocalchi già nel mese di maggio – con il titolo cambiato in “Scipio”. Una scelta che, come sostiene il quotidiano britannico The Telegraph, sembra seguire i dettami della cosiddetta “cancel culture”, ovvero quella corrente che intende condannare e mettere al bando qualsiasi terminologia anche del passato considerata oggi politicamente scorretta attraverso l’uso distopico della censura.

Da cosa deriva questa pregiudiziale sul vocabolo francese “nègre”, allo stesso modo come per l’italiano “negro”? Forse per la vicinanza con il dispregiativo “nigger” utilizzato da molti schiavisti americani (si veda l’omonimo libro del Prof. Randall Kennedy), probabile distorsione dello spagnolo “nigro”, che nulla ha però a vedere con l’etimo corretto dell’aggettivo latino niger, nigra e nigrum, rispettivamente nell’accezione maschile, femminile e neutra. Un errore di attribuzione culturale e storica che ha già visto aspramente criticare la «negra terra» presente negli ultimi versi di Pianto antico di Carducci piuttosto che il titolo Angeli negri della canzone di Fausto Leali (unitamente all’appellativo “negro bianco” dato allo stesso autore del brano musicale di fine Anni Sessanta), poiché tacciati discriminatori e offensivi.

Del resto non è la prima volta che la “cancel culture” intende modificare testi e cambiare le narrazioni di opere liriche, fiabe o capolavori letterari del passato per renderli compatibili con un ipocrita buonismo imperante, si pensi alla Carmen di Bizet, il Mercante di Venezia di Shakespeare, il racconto di Cappuccetto Rosso dei Fratelli Grimm o la saga destinata all’infanzia di Pippi Calzelunghe (Pippi Långstrump) dell’autrice svedese Astrid Lindgren, “accusati” di essere sessisti o razzisti.

Il dipinto di Cézanne, ispirato all’opera di Eugène Delacroix, voleva tuttavia rendere giustizia alle popolazioni africane e denunciare il permanere di quello schiavismo coloniale, abolito dalla Rivoluzione Francese e rimesso nel 1802 da Napoleone per essere definitivamente soppresso nel 1848 dalla Seconda Repubblica, che rimaneva di fatto in essere nelle discriminazioni sociali dei tempi a seguire. Il quadro, acquistato da Claude Monet che lo teneva appeso nella sua camera da letto, rimane una testimonianza viva di pittura “impegnata” di un autore che di certo non si può tacciare di razzismo.

Di converso, la modifica del titolo fa perdere la sua valenza culturale e sociale, ma soprattutto espone l’opera a una falsificazione storica in nome di una finta equità, che stride con la realtà delle politiche economiche contemporanee, dove le autonomie dei popoli africani sono in costante pericolo grazie ai disegni perpetrati da quelle Corporate tanto care proprio ai rigorosi censori buonisti. In un mondo dove la logica rovesciata è una costante, si può quindi ritenere che Cézanne, ritenuto ponte tra l’impressionismo e il cubismo, artista “costruttivo” seguace delle teorie di Camille Pissarro, abbia colpito con le sue provocazioni anche i morbi sociali del XXI secolo. A partire dal titolo di questa sua opera.