Quello di Filippo Timi è un lavoro di sottrazione del ruolo dell’attore a favore del personaggio, che corrisponde al raggiungimento del mito. Come espresso nei due manifesti del Théâtre de la cruauté di Antonin Artaud, viene “sacrificato” tutto ciò che non collima con la realizzazione piena dell’autenticità teatrale, attraverso la fusione di ogni forma possibile di espressione. Parola, luce, suono e movimento sono messi a questo punto sullo stesso piano, e il testo cessa di essere l’elemento predominante. Il personaggio vive in sé, di una vita propria che si articola utilizzando qualsiasi strumento disponibile e annulla di fatto la sovrastruttura della rappresentazione. Il Don Giovanni di Timi sa di dover morire, anche perché la vita per lui è giustificata solo dalla presenza della morte. La riscrittura dell’opera, che parte da quella di Mozart (e non dalla commedia originaria di Molière) per divenire altro, tiene conto di questa caratteristica del protagonista. Don Giovanni compie infatti una corsa verso la morte, che immancabilmente si presenta all’appuntamento già fissato dal destino. But, sildenafil super active proper surgery should also be done with the help of fundamental medicinal treatments. But together with that there 100mg viagra professional numerous advantages through taking man enlargement pills like the sperm depend also growing. Some of these discount viagra usa side effects include: drowsiness, breathlessness, skin rashes, male breasts and swelling of face, lips and tongue. HIV and AIDS are diseases spread by sexual online viagra pills http://deeprootsmag.org/2014/03/03/dramatic-exciting-cool/ contact. Il punto sostanziale dello spettacolo di Timi rimane la veridicità del personaggio anche nell’utilizzo di un forte registro ironico, contestuale a questa continua spinta fino alla fine, che in sé manifesterebbe un tropo e di conseguenza la sostituzione di un pathos oggettivo con uno non conforme alla realtà. Questo incipit retorico rischia quindi di generare una trasposizione di significato, ma può anche portare, come nella musica, ad un prolungamento del medesimo con nuovi inserimenti. La contaminazione tra generi che via via s’intercalano nello sviluppo drammaturgico – a partire da quella musicale, dove si passa da Pagliacci di Leoncavallo ai Pink Floyd, dal motivo dedicato a Tiger Man ai Queen – servono a incontrare il Don Giovanni nella sua più intima natura. In questo concorrono anche la partecipazione del pubblico e la presenza di Kubrick, evocato dalla sontuosa scenografia a richiamo di 2001 Odissea nello spazio, ai costumi cari al Barry Lindon, ma anche nel consumo di “latte più” necessario alla determinazione di quell’ultraviolenza amata dall’Alex DeLarge dell’Arancia meccanica, nonché in alcune situazioni che ricordano alcune riprese di Eyes Wide Shut. Un lavoro complessivamente azzardato, che può rischiare di apparire una parodia, quando in realtà è il suo rovescio: la rappresentazione è annullata, tutti i personaggi fluttuano in quanto tali tra i variopinti colori dei registri utilizzati. Uno spettacolo di ricerca, che riprende peraltro un tema che fu già affrontato da Carmelo Bene nel cinema, e che, dopo Amleto, conferma la volontà di Timi di proseguire lungo il percorso indicato dalla rivoluzione artaudiana del linguaggio teatrale.
Giudizio: ***1/2
Produzione TEATRO FRANCO PARENTI/TEATRO STABILE DELL’UMBRIA
Spettacolo nato dal laboratorio in collaborazione con CRT Centro di Ricerca per il Teatro
Il Don Giovanni di e con Filippo Timi
e con Umberto Petranca, Alexandre Styker, Marina Rocco, Elena Lietti, Roberta Rovelli, Roberto Laureri, Matteo De Blasio, Fulvio Accogli
Regia e scena di Filippo Timi
Regista assistente : Fabio Cherstich
Luci: Gigi Saccomandi
Suono : Beppe Pellicciari
Costumi: Fabio Zambernardi in collaborazione con Lawrence Steele
Milano, Teatro Franco Parenti, Sala Grande, via Pier Lombardo 14
Fino al 27 marzo 2013