Foto: un momento della manifestazione di sabato 15 ottobre a Roma © puntoelinea MagazineVolendo iniziare un articolo come questo, l’iniziale premessa sarebbe quella di indicare come primo elemento il senso stretto della giornata del 15 ottobre, che si potrebbe definire come la Giornata Mondiale dell’Indignazione. In realtà per tutta una serie di aspetti che andiamo a vedere, parlarne in questo modo sarebbe, oltre riduttivo, anche improprio.

E’ noto che nel sabato in questione si sono tenute in circa 150 città del mondo manifestazioni all’insegna di quest’idea, una seria presa di posizione contro la crisi, non esclusivamente economica, che sta attraversando l’intero globo, ormai dalla sua conclamazione già nel settembre del 2008. Se poi da noi il governo guidato del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha ammesso della sua esistenza meno di un anno fa il problema è evidentemente un altro.

Il resoconto che state leggendo era previsto a prescindere dai gravissimi fatti accaduti durante la manifestazione romana, unica al mondo che non ha visto soltanto tafferugli ma, ampiamente dimostrati dalla cronaca, atti di vera e propria guerriglia urbana a opera dei black bloc.

Il fatto che a un certo punto si crei uno schieramento di questo genere, quello degli Indignati, che definire eterogeneo appare come un soave eufemismo, che interessa gli Indignados spagnoli a quelli statunitensi in presidio a Wall Street, New York City, fino al Giappone, alla Francia, alla Germania, e che investe necessariamente anche l’Italia, oltre a un altro numero di nazioni, nelle 150 di cui sopra, il problema oltre che esistere, possiede elementi di evidente trasversalità. Solo per menzionare il caso milanese, e solo per citare alcuni protagonisti, nella partecipazione troviamo il sindacalismo di base, con CUB, Usb, Sicobas, Usi e Sisa, ma anche la Fiom, oltre al Popolo Viola, l’Arci, i centri Sociali, il movimento San Precario passando da collettivi di studenti, di migranti, da esponenti della sinistra milanese, agli autoconvocati delle fabbriche, al Comitato No Expo fino a Libertà & Giustizia. E, solo per quanto riguarda proprio Milano, l’elenco potrebbe continuare.

La rivendicazione di quella che si potrebbe definire, in senso atecnico, una galassia, è che questa crisi non vogliono pagarla coloro i quali, praticamente da sempre, hanno sopportato ogni tipo di dissesto economico e non. Parlare di precariato e di impoverimento del ceto popolare non è uno slogan, anche perché gli stessi processi di precarizzazione e di impoverimento sociale oggi riguardano non soltanto lavori considerati manuali, dall’operaio di vario genere allo scaricatore della movimentazione merci. Sono pesantemente chiamate in causa anche professioni intellettuali, dall’insegnante all’ingegnere, al medico al giornalista, Co.co.co., Co.co.pro., socio-lavoratore, a partita Iva, e chi più ne ha più ne metta, per un elenco degno di un brano che avrebbe potuto scrivere Rino Gaetano (del tipo: “docente precario, analista precario, veterinario precario, archivista precario, architetto precario, nun te regghe più!”). A questo va aggiunto che circa il 40 % della busta paga di un lavoratore dipendente, o para-dipendente, come nei casi citati, viene sottratto alla fonte. Per questo tra le proposte degli Indignati c’è, per esempio, un’efficace lotta all’evasione e all’elusione fiscale, che fino a oggi non è mai stata combattuta in maniera efficace, per non dire che si è quasi evitato di combatterla. Tutto questo da sommare a un generale impoverimento di retribuzioni, tout court, e pensioni. La dice lunga sotto questo aspetto la situazione dei nuovi poveri in Italia, che come indicano i dati Istat, e in particolare quelli sotto i 35 anni, sono in costante crescita.

Come accennato prima, e come noto anche a chi si informa pochissimo, solo nell’appuntamento italiano degli Indignati, a Roma, vi è stata un’esplosione di violenza, imprevista perfino da coloro i quali avevano presagito che non si sarebbe trattato di una giornata così tranquilla. Per fortuna, malgrado l’ingente numero di feriti, qualcuno anche grave, non si è bissato quanto accadde a Genova in occasione del G8. Non solo il 15 ottobre scorso non è morto nessuno, ma non si sono nemmeno verificati episodi gravissimi come, per esempio, l’irruzione notturna da parte delle forze dell’ordine all’interno nella scuola Diaz di Bolzaneto, definita dagli stessi magistrati inquirenti “macelleria messicana”, e che ha visto responsabili, in seguito condannati, proprio dirigenti della stessa polizia. Qui, al contrario, oltre al coraggioso tentativo di esclusione da parte dei manifestanti pacifici i violenti, da qui i feriti più gravi proprio tra i pacifici, sono state addirittura testimoniate da fotografie pubblicate dai media attestazioni ringraziamento sempre da parte dei manifestanti civili nei confronti di Carabinieri e Polizia. Men who Buy cialis pills mouthsofthesouth.com Online have very good experience like never before. You must avoid alcohol and smoking cialis price no prescription for better life. One of the best viagra generic uk features of a B. Toward a Theory tadalafil 20mg india of Leadership Practice: A Distributed Perspective. O come, personalmente mi è accaduto conferendo con alcuni Carabinieri in tenuta antisommossa nei pressi di Palazzo Venezia, registrare l’apprezzamento per le motivazioni della manifestazione e per il contegno di chi ha sfilato civilmente, definendo l’appuntamento come, testuali parole, un’occasione sprecata. Ci possono essere state delle ingenuità da parte dei vertici delle forze dell’ordine nel presidiare prioritariamente i luoghi della politica, Quirinale, Palazzo Chigi, Montecitorio e Palazzo Madama, ma su quanto è avvenuto è forse ancora prematuro definire precise responsabilità circa i fatti.

Certo, riguardo a queste spinte para-terrostiche, la situazione non è rosea. I nostrani black bloc sono un coacervo male assortito di anarco-insurrezionalisti, neofascisti, ultrà da stadio, esalatati da rave party, uniti dall’unico scopo possibile, quello di spaccare letteralmente tutto, dalle cose alle persone, in una protesta che potrebbe ricordare sinistri episodi storici come le scorribande, i saccheggi e le distruzioni dei Lanzichenecchi (almeno in quest’occasione gli stupri sono risparmiati). Una furia cieca che nulla ha a che vedere con l’indignazione. Prima di loro qualcuno, i terroristi degli anni ’70, hanno cercato
illusoriamente di cambiare l’Italia, ma la cosa più significativa che purtroppo resta oggi di quell’esperienza sono soltanto le lapidi delle loro vittime.

Oltre a tutto questo, quello che non ha funzionato sono state le valutazioni e le proposte in libertà che hanno seguito gli eventi, dalla proposta di ripristino della Legge Reale (G.U. n. 136 del 24 maggio 1975, ndr) del tandem Di Pietro-Maroni (quest’ultimo attuale ministro dell’Interno, precedentemente condannato in via definitiva a quattro mesi e 20 giorni di reclusione per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale per avere tentato di mordere la caviglia di un agente di polizia, a seguito della perquisizione, nel 1996, della sede leghista di via Bellerio a Milano, di qui la condanna a 8 mesi in primo grado, poi dimezzata in appello e in Cassazione, ndr), poi in parte ritirata perché una palese scemenza. Citiamo anche le sentenze morali di Giuliano Ferrara, su Il Foglio, che come ha ricordato Marco Travaglio su Il Fatto Quotidiano, quando il Ferrara era sessantottino scendeva da Valle Giulia col bastone in mano, e, da comunista, impugnava manici di piccone per menare gli occupanti dell’Università di Torino. Solo due esempi, ma credo proprio estremamente significativi. Per capire il nostro paese queste persone dovrebbero uscire dalle loro torri d’avorio e vivere tra la gente, usare i mezzi pubblici per spostarsi, fare le code agli uffici e parlare con le persone.

In realtà il primo vero problema italiano è rappresentato da chi sta governando, e non è una novità per nessuno. Mentre in Spagna il primo ministro José Luis Rodriguez Zapatero, di fronte a una crisi analoga alla nostra, ha rassegnato le proprie dimissioni (e a soli 51 anni dichiarando di non ricandidarsi!), da noi il 75enne ministro del Consiglio (che è cosa diversa da Premier, almeno finché non si cambia la carta costituzionale), gravato dalle pesanti inchieste giudiziarie di cui tutti hanno notizia, e dalle precarie condizioni di salute (come si evince dalle intercettazioni telefoniche che lo riguardano), non ha la minima intenzione di andarsene. Questo mentre il decreto sviluppo non è stato ancora compiutamente formulato, anche grazie alle sempre più forti frizioni con il ministro dell’Economia, Tremonti, e a una maggioranza che si dimostra unita solo se costretta dai, troppi, voti di fiducia. In compenso, si aumenta il numero dei sottosegretari, a ingrassare una gerontocratica e autoreferenziale casta, antimeritocratica, clientelare e troppo lontana dalla realtà contemporanea delle altre nazioni europee.

Aggiungere altro sarebbe eccessivo, quando quotidianamente, tra la giusta e doverosa indignazione della persone civili e consapevoli, la cronaca, per esigenze di servizio, affresca l’Italia come il paese dei paradossi.