Il nuovo spettacolo di Alberto Oliva andato in scena al Teatro Litta di Milano propone il dramma storico di Shakespeare con una straordinaria metafora del presente
Come una partita a poker. Alessandro Castellucci, Mino Manni, Angelo Colombo e Simone Severgnini, rispettivamente nei panni di Marco Giunio Bruto, Marco Antonio, Gaio Cassio Longino e Ottaviano (oltre al congiurato Publio Servilio Casca) sono i quattro attori protagonisti dell’ultimo lavoro di Alberto Oliva, già ospite nella stagione di Manifatture Teatrali Milanesi alla Sala Teatro Litta di Milano dal 9 al 15 novembre e prossimamente in tournée nel Paese. La metafora del gioco si evince già dopo il dialogo iniziale tra Casca e Cassio, grazie alla scenografia di Lucia Giorgio che dispone un enorme mazzo di carte variamente divise su cui domina a tratti la figura del Re. Un allestimento semplice, enfatizzato dal disegno luci di Marco Meola, tuttavia efficace e suggestivo nel suggerire una metafora del presente pur nel rispetto del testo originario.
Giulio Cesare è forse l’opera più politica di William Shakespeare, e la recente censura del drammaturgo inglese nella Turchia di Erdogan dimostra come dopo quasi cinque secoli le parole del bardo della modernità possono risultare incisive o addirittura pericolose per la stabilità dei regimi contemporanei. Il giorno del debutto di questo spettacolo è a sua volta significativo per la vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali americane e l’anniversario per il crollo del muro di Berlino avvenuto nel 1989. Ricorrenze che sembrano aleggiare come sintomi di un malessere unito alla trasformazione politica e sociale di un occidente sempre più incerto, dagli orizzonti indefiniti come la vicenda del dramma shakespeariano.
La rinuncia di Cesare alla corona offerta da Antonio per ben tre volte sembra evoca magicamente il triumvirato e la sua intima apostasia, allo stesso modo il gioco del poker tra congiurati e fedeli cesariani richiama il “tutto e per tutto” dell’azzardo politico, a cui non resiste il suicida Cassio una volta temuta l’imminenza della sconfitta. Bruto è di certo il più virtuoso tra i congiurati delle Idi di Marzo, l’unica pugnalata forse tra le 23 inflitte a essere stata perpetrata per salvare la Repubblica, e la sua sconfitta definitiva nella seconda battaglia di Filippi è degna del massimo rispetto da parte dei nemici. Shakespeare non prende posizione tra i contendenti, mantiene quella giusta ambiguità che può sviluppare simpatie o antipatie in entrambi i fronti. Di certo il gioco delle carte alimenta la neutralità della narrazione, poiché l’abilità di un giocatore è commisurata da un’altrettanta fortuna che non lascia scampo. Gli stessi suicidi dei due grandi sconfitti acquistano col poker un sapore di rivalsa contro il fato. Il vero vincitore sembra essere in realtà la figura del Re, prima in vece di Cesare e successivamente manifesto profetico del futuro impero di Ottaviano “Augusto”.
Gli interpreti in scena conducono brillantemente la metafora del gioco da tavolo, grazie anche a un’ottima regia che ha saputo spostare la rappresentazione sul piano di un surreale casinò dove la posta da vincere è il potere. Del resto fu lo stesso Cesare ad affermare «Alea iacta est» dopo aver attraversato il Rubicone. E quando il dado è tratto, non si può più recedere dalle proprie decisioni. Come per un vero giocatore d’azzardo…
Giudizio: ***
Produzione Teatro de Gli Incamminati
in collaborazione con I Demoni
Giulio Cesare di William Shakespeare
Adattamento di Alberto Oliva e Mino Manni
Con Mino Manni, Alessandro Castellucci, Angelo Colombo, Simone Severgnini
Regia di Alberto Oliva
Assistente alla regia: Serena Piazza
Scene e costumi: Lucia Giorgio
Disegno luci: Marco Meola
Un ringraziamento particolare a Laura Gerosa di Spazio Lambrate
Milano, MTM Sala Teatro Litta
Dal 9 al 15 novembre 2016
www.mtmteatro.it