Una palestra. Una vecchia radio. Delle spalliere, dei palloni da basket e dei cerchi appoggiati alle pareti. Un telo proietta frasi dalla Nasa che ci informano della presenza di esplosioni di gas risucchiati da un buco nero. La loro successiva registrazione amplificata fa tremare la sala, le nostre casse toraciche, entra dentro ai timpani; assordante, impossibile da sopportare. A questa assistono due donne dai capelli raccolti, vestite con grembiule e zoccoli. Fine del prologo. La scena si riempie via via di 13 fanciulle abbigliate allo stesso modo, appartenenti alla medesima comunità: rassegnate al proprio destino si automutilano tagliandosi la lingua con le forbici tra spasmi di dolore. Di lì a poco entra un cane che mangia le loro lingue, gettate sul pavimento. A questo punto le ragazze declamano i versi di Hölderlin con gestualità ottocentesca esasperata, creando tableaux vivants. Si scambiano continuamente di ruolo, e passandosi la corona dorata a turni impersonano il poeta Empedocle. Il loro declamare è affettato, le loro voci ora sono naturali, ora distorte dal microfono e asincrone con effetto straniante. Fanno capolino, in sala, bandiere secessioniste degli Stati confederati americani e fucili sulle spalle di alcune fanciulle. Poi ricompare lo schermo e, mentre una canzone nordica fa loro da colonna sonora, le ragazze assistono a proiezioni di immagini di montagne innevate, frutti e fiori: luoghi idilliaci, quasi un vagheggiare una vita campestre che non esiste più con richiamo forse all’Arcadia ed ai tempi mitici perduti. Poi si sente un colpo di pistola partire da un’arma dorata impugnata da una mano dello stesso colore. Epilogo: i corpi delle giovani formano una massa, un agglomerato di membra che partorisce altri corpi che vengono allontanati mano a mano dal gruppo, nudi e pieni di vergogna in una cacciata dal Paradiso che rievoca le immagini del Masaccio. Le performer scompaiono dal campo ma rimane la loro voce registrata. In questo intenso lavoro tratto da Four seasons restaurant, Castellucci mette in scena la Morte di Empedocle, opera incompiuta di Hölderlin. Questa volta il regista decide d’ambientare lo spettacolo che ha debuttato nell’estate del 2012 al Festival di Avignone, in una palestra con risonanza agli antichi ginnasi e come luogo per antonomasia dell’allenamento. Un lavoro teatrale fortemente simbolico pieno di immagini evocative mutuate dal passato, dalla storia dell’arte, immagini colte che creano quadri e che in molti momenti richiamano le sculture neoclassiche. Al centro ancora una volta c’è la riflessione sulla tragedia e sul teatro, con Empedocle che diventa metafora dell’artista, del poeta esiliato e rifiutato perché incolpato di essersi reso simile agli dei e che pertanto decide di sacrificarsi (come una figura cristologica) gettandosi nell’Etna, in una fine che è ricongiungimento con il Tutto, in linea con il panteismo romantico. A questo proposito il gesto ultimo di Empedocle che si lancia nel vuoto va a collegarsi con l’inizio dello spettacolo dove si parla di un buco nero realmente esistente nell’universo che risucchia esplosioni di gas: una negazione che non è fine ma che si tramuta in una nuova archè. In Giudizio Possibilità Essere cruciale è il discorso sulla parola poetica, che è efficace in sé, tautologicamente bastante a se stessa in un lavoro di sottrazione e rimandi in cui tra il pubblico, non a caso, rimane ben impressa una frase che il regista fa pronunciare ad una delle attrici:“Rispetta ciò che non capisci”.
Produzione Socìetas Raffaello Sanzio
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Giudizio Possibilità Essere di Romeo Castellucci
Con Chiara Causa, Silvia Costa, Laura Dondoli, Irene Petris e con Chiara Castaldini, Gaia Germanà, Nuvola Vandini, Eleonora Massa, Silvia Berti, Sara Dal Corso, Lara Russo, Irene Migliori, Leila Ghiabbi
Bologna, Palestra Arcoveggio, via di Corticella 180/4
Dal 2 al 6 aprile 2014
www.raffaellosanzio.org