Raccontare la morte è paradossalmente qualcosa di semplice e al contempo complesso. Da una parte, insieme alla vita, è una delle pochissime certezze dell’esistenza di ognuno (a quanto ne so io almeno finora), dall’altra, una parte della nostra società sembrerebbe averla inspiegabilmente cancellata. Ma che piaccia o meno esiste, e la scomparsa di Giorgio Bocca, che è certamente un grave lutto, lo dimostra. E’ la scomparsa di uno dei grandi del giornalismo, ma alla più che dignitosa età di novant’anni, dettaglio su cui lui stesso, se avesse potuto, avrebbe sarcasticamente ironizzato. Sarcasmo appunto, il suo, caratterizzato da un’ironia piuttosto sferzante, spesso contrappuntata da un ben presente senso di pessimismo, a tratti fino a scemare nella giovanilistica ricerca (non infantile, precisiamo) di gesti e consuetudini, un po’ proustiane non c’è che dire, che l’attuale società sembra avere colpevolmente dimenticato. La sua carriera di narratore, perché è questa la base di ciò che permette di diventare cronisti, inizia negli anni giovanili, i ’30, e dopo una militanza universitaria nei G.U.F. (Gruppi Universitari Fascisti), con l’8 settembre del ’43 aderì alla Resistenza Partigiana.

In effetti quella giovanile militanza gli verrà sempre rinfacciata in maniera, più che altro, maligna e strumentale, da parte di chi probabilmente ancora oggi ignora che allora praticamente tutta l’Italia era fascista.

Dopo la guerra iniziò la collaborazione per il giornale di Giustizia e Libertà, sinché fu chiamato a lavorare per la Gazzetta del Popolo diretta da Massimo Caputo, con cui ebbe rapporti sempre piuttosto difficili, e a cui, in seguito, riservò sia a lui che al figlio, Livio (anch’egli giornalista, che in seguito ha abbracciato la politica, ndr) giudizi piuttosto severi. Dopo un passaggio all’Europeo, negli anni Sessanta approdò a Il Giorno, e in seguito alla nomina a direttore di Italo Pietra, divenne quell’inviato speciale che tutti conosciamo.

Insieme a Eugenio Scalfari, che divenne direttore, fu tra i fondatori nel 1976 e redattore del quotidiano La Repubblica (su cui ha scritto fino a qualche giorno prima della dipartita), una collaborazione in tandem con il settimanale L’Espresso, appartenente allo stesso gruppo editoriale, e apprezzato scrittore. Negli anni ’80, per ironia della sorte proprio sulle reti Fininvest, divenne anche giornalista televisivo, ma a dispetto di un lavoro sempre molto professionale e ben preparato, a mio personale avviso fu raramente all’altezza rispetto al resto del suo lavoro sulla carta stampata. L’ironia in questione è nel rapporto con il suo dominus e fondatore, proprio quel Silvio Berlusconi che solo qualche anno dopo si sarebbe dedicato alla politica, e contro cui il giornalista si sarebbe schierato sempre con articoli decisamente critici.

Con la scomparsa di Giorgio Bocca si chiude una di quelle storie, personali e professionali, che hanno visto l’evoluzione, e talvolta anche alcune involuzioni, del nostro paese. When prostate cancer is the diagnosis most men will find this form levitra uk of cancer tends to be a slowly progressive cancer. The dedicated team of generic cialis professionals at North York’s physiotherapy and sport clinic works with all athletes to treat and heal sports injuries, allowing players to return to their sport as quickly as possible. Fall-prevention advice includes exercise to tone deambulatory muscles, proprioception-improvement exercises; equilibrium therapies may levitra prices http://davidfraymusic.com/project/listen-to-davids-performance-at-the-royal-festival-hall/ be included. Additionally, after the chiropractor has performed an orthopedic and neurological evaluation, might determine there are pinched nerves in your neck canadian pharmacies viagra causing this issue, spinal decompression might be recommended. Giorgio Bocca, attraverso il suo lavoro, fa parte di quel gruppo di giornalisti, tra i quali Indro Montanelli, Enzo Biagi, Walter Tobagi (questi per troppo poco tempo, perché freddato nell’80 da un gruppo eversivo di estrema sinistra, la Brigata XXVIII Marzo, mentre Montanelli, tre anni prima venne gambizzato dalle Brigate Rosse, ndr), che ha raccontato le fasi cruciali dei nostri ultimi decenni. Un’Italia che dal dopoguerra neanche tanto lentamente si è trasformata da paese agricolo, dalle smodate ambizioni impostole dal Fascismo solo alcuni anni prima, a nazione industriale, con tutti i suoi conflitti e le sue contraddizioni, fino al declino della grande industria per cedere il passo al terziario. Una trasformazione sociale ed economica che ha portato giovani provinciali, tra i quali lui stesso (dal titolo omonimo di un suo libro, ndr) cuneese trapiantato a Milano, in un processo storico che dopo il Miracolo Economico degli anni ’60, ha successivamente visto le prime crisi degli anni ’70, la questione meridionale, il fenomeno dell’eversione terroristica, fino alla Milano da Bere, alla successiva spinta federalista ad opera della Lega di Bossi, a cavallo tra gli anni ’80 e ’90. Lega che Bocca raccontò, per un periodo quasi con simpatia, cercando di comprenderne le ragioni, tuttavia con un epilogo conclusivo di rottura netta.

Da diversi anni nutriva un atteggiamento piuttosto critico nei confronti di una generale idea di progresso, come testimoniato tanto quanto dai suoi pezzi giornalistici come nei suoi libri. Dall’uso della tecnologia, leggi i computer, rispetto a fenomeni come la globalizzazione, o sul come viene fatta la TV, fenomeni sui quali i giudizi sono stati piuttosto tranchant, gli è riconosciuta un’onestà intellettuale e una personale prospettiva in particolar modo rispetto a questioni più che spinose. Tutto questo nonostante qualche ingenuità, qua e là, soprattutto rispetto a una categoria che negli ultimi anni ha visto assottigliarsi sia il prestigio della professione come i diritti di chi ne fa parte, a partire proprio dal diritto al lavoro, come sanno bene i numerosissimi precari sottopagati.

Particolare il taglio, a tratti forse eccessivo, anche a detta di alcune sue successive valutazioni, riguardo all’insorgenza del fenomeno del Terrorismo, su cui tuttavia, con il senno di poi, non aveva sbagliato poi molto. E a titolo di esempio, la pesante polemica con il collega Gianpaolo Pansa (anch’egli co-fondatore di La Repubblica, ndr) il quale da tempo cerca di equiparare le posizioni dei nazi-fascisti rispetto a quelle dei partigiani, di cui Bocca ha ampiamente scritto a pi
eno titolo (lo è stato lui stesso…) con il piglio e la preparazione degne di uno storico. E per concludere la totale mancanza di timore reverenziale, o forse meglio di tregua sullo stile “cane non morde cane”, nei confronti di colleghi per molti ritenuti intoccabili come Oriana Fallaci, o Gaetano Afeltra, nei cui riguardi non si può certo di dire abbia risparmiato frecciate, e anche sensibilmente velenose.

Infine, ricordiamo il duro giudizio sull’Italia contemporanea, come ripetuto di recente in alcune interviste, riassumibile, fuor di metafora, in una sua memorabile frase: “… mi trovo un paese in condominio con la mafia. E il successo di chi elogia i vizi, i tipi alla Briatore”, quest’ultimo per coincidenza beffarda suo conterraneo piemontese.