La vita artistica dell’ “Imperatore” del teatro italiano
«Però… Albertazzi… Il grande Albertazzi… Il grande e irreprensibile Albertazzi! Mamma mia, non sapevo che facesse anche teatro!» recitava Aldo Baglio (di Aldo, Giovanni e Giacomo) nella famosa scena della selezione di attrici per la Roxanne del loro Cyrano nel film Chiedimi se sono felice. Una citazione che, per quanto paradossale e per questo assolutamente comica, forse ha rappresentato suo malgrado il tributo più importante all’attore toscano recentemente scomparso. Ergo, soltanto un personaggio dall’ignoranza monumentale e dall’acume inversamente proporzionale a quest’ultima come quello interpretato da Aldo, per un gioco di opposti, poteva non sapere cos’aveva fatto Giorgio Albertazzi, l’attore italiano contemporaneo, scomparso lo scorso 28 maggio, quasi in assoluto più rappresentativo e di certo tra i più longevi.
Laureatisi in architettura, dopo qualche esperienza come protagonista di fotoromanzi, Albertazzi debuttò a teatro nel ’49 nella shakespeariana Troilo e Cressida durante il Maggio Musicale Fiorentino, e nel ’54, sempre con un’opera del Grande Bardo, Romeo e Giulietta, fu tra coloro i quali inaugurarono la neonata televisione italiana all’interno del programma La prosa del venerdì. In quegli anni, a differenza di oggi, la televisione svolgeva un ruolo educativo e rappresentava un secondo palcoscenico non solo per il teatro, ma anche per adattamenti di romanzi come L’idiota di Dostoevskij e Jekyll, dal romanzo di Stevenson, entrambi da lui interpretati.
Solo qualche anno dopo, nel ’61, questo artista acquistò una certa popolarità anche al cinema con L’anno scorso a Marienbad diretto da Alain Resnais, benché il suo debutto sul grande schermo risalisse a ben 10 anni prima.
E’ tuttavia del ’64 la sua definitiva consacrazione all’opera shakespeariana, con il debutto di Amleto presso l’Old Vic londinese, in cartellone per due mesi, diretto da Zeffirelli, insieme ad Anna Proclemer (quest’ultima sua compagna per lungo tempo anche nella vita, ndr) e Anna Maria Guarnieri, divenendo tra i grandi interpreti dell’opera di Shakespeare del Royal National Theatre come unico attore non di lingua inglese.
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Un eclettismo che lo portò inevitabilmente in competizione con l’altro mostro sacro del teatro italiano, il sopracitato Vittorio Gassman, ma neanche a farlo apposta proprio nel 2004 Albertazzi venne stato omaggiato proprio del Premio Gassman alla carriera. Oltre alla recitazione va doverosamente ricordato che in quello stesso anno l’attore toscano è stato tra i fondatori, nonché il direttore, del Laboratorio Arti Sceniche Città di Volterra “Il Verso L’Afflato Il Canto”, fucina di alcune decine di giovani attori e attrici.
Quanto alla sua carriera di regista, al di là del grandi registi che l’hanno diretto, i citati Visconti, Resnais e Zeffirelli, spesso in particolar modo durante la seconda parte della sua carriera è stato direttore dei suoi stessi spettacoli. Un po’ meno bene gli andò come regista cinematografico, con una sola pellicola all’attivo, “Gradiva” del ’70, in cui recitava anche Laura Antonelli, film che ebbe svariati problemi con produzione e distribuzione, e che per questo uscì solo in alcune sale e fu ritirato troppo presto.
Di Albertazzi, geniale affabulatore ma a tratti anche piuttosto gigionesco, si registrano anche autentici colpi di testa come la candidatura alla Camera nel ’96 per il centrodestra nel collegio di Tradate, che lo vide sconfitto contro il candidato della Lega Nord, Carlo Ambrogio Frigerio, piuttosto che, nel 2014, la partecipazione al programma televisivo Ballando con le stelle, su Rai 1, come attempato ballerino-poeta.
Quanto all’uomo, perlomeno nella prima parte della sua vita, ancora più che in altri casi è opportuno distinguere l’importanza della sua figura artistica da alcune scelte a dir poco discutibili. Infatti, in qualità di ufficiale della Repubblica di Salò, comandò il plotone di esecuzione che il 28 luglio del 1944 fucilò il partigiano Ferruccio Manini, atto che avrebbe determinato una condanna per collaborazionismo fino alla cosiddetta amnistia Togliatti del ’47, una condotta che lo stesso Albertazzi non avrebbe mai né dimenticato e purtroppo nemmeno rinnegato. E’ doveroso aggiungere anche che si tratta di un discorso che dovrebbe valere anche per altri importanti protagonisti della vita artistica del Novecento, più o meno conniventi e collaborazionisti a vario titolo con il nazifascismo, quali Filippo Tommaso Marinetti, Luis-Ferdinand Céline, Pierre Drieu La Rochelle, Martin Heidegger, Julius Evola, Wilhelm Furtwängler e Herbert von Karajan. Sempre ammesso, e non concesso, che rispetto ad altri paesi europei in Italia si sia mai fatta una seria riflessione, con tanto di autocritica, sull’esperienza fascista nel ventennio e durante la Seconda Guerra.