127 nel 2010, 139 nel 2011. Il 2012 ne conta oltre un centinaio, con una media di una ogni due giorni. Stiamo parlando delle donne uccise dall’inizio dell’anno a oggi (*) in Italia, una tragedia nazionale che, leggendo queste statistiche, registra addirittura un peggioramento. Un allarme sociale di portata storica, che vede come protagonisti della cronaca, oltre alle sventurate vittime, fidanzati, mariti, conviventi, o comunque uomini i quali, evidentemente incapaci di gestire quelle situazioni di distacco che, purtroppo, la vita può riservare, si lasciano dominare dalla belva omicida che alberga in ognuno di noi. Un argomento, questo, da trattare sotto alcuni profili che andiamo ad analizzare a partire proprio da una prospettiva di carattere culturale. Ne è passata di acqua sotto i ponti negli ultimi quarant’anni di storia italiana, anche con un mutamento di usi e costumi nel rapporto tra sessi, ma nonostante questi cambiamenti che si possono definire progressisti, seppure solo da una parte della nostra società, si registrano comunque pessime risposte. Per esempio il fatto che molti uomini, definiti, o auto-definitisi, in crisi, non siano in grado di accettare l’emancipazione femminile è un fatto grave, quanto noto. A scanso di equivoci, la vera emancipazione non è quella attraverso cui le donne possono comportarsi male come le loro controparti maschili (il mito della bad girl, contrapposto al bad boy), ma la possibilità di avere gli stessi diritti per quanto riguarda l’accesso allo studio, al lavoro, e alla libertà di scegliere della propria esistenza, senza per forza passare dalla tutela paterna a quella maritale, da un pater familia a un altro, come nell’antica Roma.
All’interno di queste trasformazioni, ci si trova di fronte a due elementi estremi totalmente antitetici, ossia maschilismo e femminismo, che però non possono essere posti sul medesimo piano, in quanto il secondo, oltre a essere una risposta al primo, dopo una Storia di potere totalmente maschile, a quanto insegna l’evidenza dei fatti non ha mai prodotto gli stessi danni. Ergo, è la cronaca a dirci che dall’essere discriminate, fino, purtroppo, a morire, sono praticamente solo donne. Non solo, ma questa discriminazione si estende a partire dalle scelte famigliari spesso strettamente interconnesse all’attività lavorativa. L’esempio è della coppia spostata o convivente, i cui i due membri possiedono lo stesso titolo di studio e la medesima esperienza, ma nel momento in cui uno dei due deve restare a casa per le più varie scelte famigliari non ci si interroga nemmeno su chi dei due deve cadere la scelta. E a smascherare l’alibi per cui deve essere sempre e solo la donna a rinunciare al proprio lavoro, nei paesi europei più civili (del nostro) lo stesso stato predispone strumenti di tutela nei confronti dell’uomo, come della donna, che resta a casa. E va da sé che certe rinunce non è soltanto la donna a farle.
Tornando al maschilismo italiano di stretta attualità, non si tratta di un fenomeno solo latente, fatto dimostrato per esempio dalla comunicazione pubblicitaria in cui la donna scosciata o poco vestita continua ad attirare, e quindi a far vendere a prescindere dal prodotto reclamizzato (lo spot di una soubrette in shorts e canotta che piomba nella casa di una nota sportiva, quest’ultima altrettanto avvenente, ma vestita normalmente). Idem per l’informazione (si fa per dire) legata al gossip, in cui l’esposizione gratuita di nudi femminili è anche maggiore. Una gratuità disarmante quanto anacronistica, poiché all’oggi, da Internet al materiale cartaceo in vendita presso le edicole, è a disposizione praticamente di tutti materiale a uso prettamente onanistico, che nulla lascia all’immaginazione (dicasi pornografia).
Omicidi a parte, poiché prima di giungere a questi il più delle volte vi sono tutta una serie di comportamenti violenti, aggiungo che porre sullo stesso piano le stalker (donne), che pure esistono e sempre danni combinano, con gli stalker (uomini), data l’allucinante casistica che vede questi ultimi numericamente soverchianti, praticamente la quasi totalità, oltre che per vittime anche per efferatezza di metodi, è qualcosa di sinceramente imbarazzante. E se nel pessimo rapporto fra sessi conseguenti alle separazioni è possibile discutere di una certa disparità nell’attribuzione degli affidamenti dei figli fra genitori (perché sappiamo tutti che i minori vanno spessissimo alle madri) questo argomento non deve né può essere preso in considerazione per quanto riguarda ogni tipo di atto violento da parte degli ex coniugi.
In conseguenza a quanto detto, si incontra un secondo elemento che è il rapporto con gli altri più in generale, e che richiede una piccola premessa. Dopo secoli di stretta osservanza a regole di vario tipo, anche con limitazioni diversificate a seconda dell’appartenenza sociale, l’essere umano contemporaneo vive ora un diverso rapporto con i precetti, anche perché oggi la cultura permette di valutare con un’ottica un po’ diversa il senso delle norme e dei diktat rispetto a quanto avveniva in passato. Se è vero quindi che siamo tutti più liberi, dall’altra pare essere altrettanto vero che nel rapporto con le regole vi sono difficoltà anche maggiori. La tripartizione – conoscenza della norma, sua interiorizzazione, e successiva applicazione – con tutta probabilità anche a causa della minore educazione impartita prima di tutto dalle famiglie, fa fatica a essere accettata. Questa idea di maggiore libertà può portare le persone psicologicamente più deboli a pensare di essere addirittura al di sopra delle regole, a partire da elementi legati al rispetto interpersonale, come la puntualità o il galateo, fino all’esercizio esasperato della violenza, finalizzata a ottenere ciò che si vuole, dal parcheggio auto, all’impunità fino alle stesse persone. Più o meno legata a questo, un po’ da parte di tutti noi (un po’ di onestà non guasta), rispetto a un tempo va aggiunta una ridotta capacità di accettare le sconfitte. A ognuno capita di mancare degli obiettivi, di incassare rifiuti di vario genere o di subire irrimediabili separazioni, o anche lutti, a nessuno piace e sarebbe stupido affermare il contrario. It appears to relax muscles buy cialis line and stimulate the flow of blood in the penile region. Kamagra is the cialis in best male enhancement drug available in the market. This pill carries Sildenafil citrate inside it which is extremely important you will enjoy many other benefits that are exclusively particular to viagra sans prescription. Nonetheless, the on line levitra http://www.slovak-republic.org/history/world-war-1/ matter may be fai
rly tough in case of an exceptional animal. Un esempio è il ragazzino respinto a fine anno scolastico con cinque materie insufficienti (ne bastano tre) che, ritenendosi oggetto di un’ingiustizia, fa intervenire i propri genitori contro la scuola, rea di averlo bocciato. Un altro esempio è il politico che, pescato con le cosiddette mani nella marmellata, si giustifica dicendo che in fondo “così fan tutti”, guardandosene bene dal lasciare l’incarico che ricopre. E mi duole dirlo, ma il rifiuto alle dimissioni sembra essere una peculiarità prettamente italiana, visto che all’estero, in culture in cui il biasimo sociale conta qualcosa, si lascia addirittura per motivi che noi riteniamo essere sciocchezze. Com’è facile intuire, questa miscela mefitica, il ritenere la donna inferiore all’uomo, l’essere al di sopra delle norme e al contempo non accettare le sconfitte, può portare a quei significativi deficit di empatia che conducono agli atti di violenza di cui stiamo trattando. Salvo poi, in alcuni casi, rendersi conto di quanto si è commesso, porre successivamente fine alla propria esistenza irrimediabilmente rovinata attraverso il suicidio, o peggio, anche con l’omicidio della propria genia.
Sotto il profilo giuridico e normativo si registrano passi in avanti ma anche indietro. Da una parte il delitto d’onore, quella fattispecie di omicidio del coniuge (nella realtà erano praticamente quasi solo donne) con una serie di circostanze attenuanti che mitigavano inevitabilmente la pena, non esiste più da qualche decennio, così come ormai il mondo giuridico è composto addirittura con una lieve maggioranza femminile, dato che ha determinato inevitabili mutamenti negli orientamenti giuridici e giurisprudenziali. Di contro, un elemento di sicura ambiguità è quello legislativo, che pone ancora certe lacunosità nell’applicazione della giustizia sia in termini di prevenzione che di repressione, non sempre sanate dalla prassi. In breve, una vera e propria legge anti-violenza ancora non esiste, e inoltre si legge di vittime assassinate che avevano ripetutamente segnalato di essere oggetto a recidive di stalking o di comportamenti verbalmente o fisicamente violenti. Idem per quanto riguarda carnefici i quali, dopo avere scontato limitate frazioni delle pene a cui sono stati condannati, subito dopo vanno a godere di benefici premiali alla stregua di chi ha commesso reati non violenti. Chi ha ammazzato, a maggior ragione persone non in grado di potersi difendere, che avevano forme di soggezione psicologica o di bisogno nei confronti del loro assassino, è qualcuno a cui riservare la più dura condanna, a cui andrebbe accompagnato un forte biasimo sociale. Non ci si può più permettere una certa mentalità appartenente soprattutto al passato per cui l’uxoricida, finché non si risposava, non era soggetto a recidiva, solo perché si può essere uxoricidi solo se coniugati. Per porre fine a questa strage è assolutamente necessario rifiutare il concetto di vittima in quanto moglie, piuttosto che convivente, fidanzata o altro ancora, e abbracciare l’idea di vittima in quanto donna, quindi persona. Anche in questo caso, purtroppo, la statistica indica che gli uomini che hanno commesso crimini violenti nei confronti di donne, facilmente ripetono le stesse azioni verso altre donne. E già che siamo nel bel mezzo di una crisi economica, un’altra mancanza grave è il taglio all’osso dei fondi anti-violenza, forse dovuto anche al non pieno riconoscimento sociale di queste iniziative come qualcosa di necessario delle vittime di violenza.
Infine, per dovere di correttezza nella trattazione di un tema come questo, una critica è doveroso farla anche a una certa connivenza culturale, rispetto alle premesse a questo tipo di reati. E’ vero che le opinioni di tutti sono pur legittime, ma quando si manifesta la propria gratuita intolleranza nei confronti di qualcuno, nemmeno così alla lunga la cosa non funziona. Per quanto mi riguarda è allucinante ascoltare da madri, non necessariamente di figli maschi, o da alcuni appartenenti al clero, giudizi gratuitamente e aprioristicamente superficiali nei confronti di altre donne. Una ragazza che si veste in maniera appariscente, o peggio anche disinibita, è scuramente tacciabile di pessimo gusto, o di eventuale biasimo, ma se subisce avance o, peggio, violenza, non “se l’è cercata” perché nessuno dà diritto di fare degli altri, senza il loro consenso, ciò che si vuole. Così come tutt’oggi è assurdo ascoltare i sermoni di qualche sacerdote, con sciocchezze per cui le donne devono sopportare i tradimenti dei mariti, ma anche le percosse, o peggio idee come quella per cui anche i figli degli stupri, nemmeno così in fondo, sono il volere dell’altissimo (**). Castronerie come queste sono fuori dal tempo e vanno a ridurre quasi completamente quel bene denominato libero arbitrio, la volontà potestativa che ci permette di scegliere liberamente un dato comportamento e una data azione, di contro facendoci assumere tutte le responsabilità di quegli atti, senza a priori giustificazioni o attenuanti di sorta. A questo, ma è solo un’opinione personale, aggiungerei anche un certo tipo di letteratura porno-soft sedicente d’autore, molto in voga anche tra le donne, in cui viene riproposto il cliché dell’uomo dominatore (che si sposta su un elicottero nero!) e della donna dominata attraverso giochi erotici assortiti. Non propongo alcuna censura, sia chiaro, ma preferibilmente di optare per letture un po’ meno becere, e sicuramente un po’ più educative (i classici di quel genere sono ben altra cosa!).
Volendo concludere con qualcosa che possa evitare effetti depressivi nei confronti di chi ha letto queste righe, di ridicolo assoluto è l’affermazione conclusiva di un articolo, scritto da Marcello Adriano Mazzola (***), criticato da più parti (ma, per curiosità, se avete tempo, andate pure a leggervelo) secondo cui: “Usciamo dunque da questo sessismo e, come ha ben scritto qualcuno, orientiamo energie e livori verso la classe politica disonesta e corrotta che ci governa”. Come se avercela per forza qualcuno, anche se si tratta di politici papponi, potesse servire a qualcosa.
(***) http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/10/31/maschilismo-femminismo-ultima-riflessione/397962/