Non sono di oggi le cosiddette trasposizioni cinematografiche, ossia racconti non originali, quindi già usciti come short tale, romanzi o fumetti. Il pensiero va subito ai celebri “Nosferatu il vampiro” del ’22, di Friedrich W. Murnau, con Max Schreck, e al “Dracula” del ’31 di Tod Browning, con Bela Lugosi, entrambi abbastanza liberamente tratti dal romanzo di Bram Stocker, fino a capolavori più recenti come “Il gattopardo” di Luchino Visconti, dal romanzo di Tomasi di Lampedusa, a “Ragione e sentimento” di Ang Lee, del ’96, dall’opera letteraria di Jane Austen. Questo solo per citarne qualcuno, considerando che tutta la storia della Nona Arte è indissolubilmente legata alle altre, e non solo sotto questa prospettiva. Il confine fra sceneggiatori e scrittori è veramente labile, come dimostrano, giusto a titolo di esempio, l’Uomo Ombra, protagonista di alcuni film, dalla penna del romanziere Dashiell Hammett già autore de “Il falcone maltese”, e il nostrano Andrea Camilleri, padre del nostrano Montalbano, nato sulla carta, e da cui sono già state tratte alcune mini-serie di fiction televisive.
Per quanto riguarda il fumetto, dopo decenni di episodi non sempre così fortunati, da “Superman”, il primo dei quali girato da Richard Donner (tra gli sceneggiatori figura Mario Puzo, già autore del romanzo “Il padrino”, ndr), a “Popeye”, girato da Robert Altman, in questi ultimi 15 anni il grande cinema hollywoodiano ha visto opere direttamente tratte da comics Marvel, “Spider-Man”, “X-Men”, “Ultimates” e “I guardiani della galassia”, e DC, “Batman” sopra tutti, che, nonostante il relativamente breve intervallo di tempo, hanno già visto dei reboot (Spiderman e Superman, a cui pare ne seguiranno altri).
Ulteriore problema è quando da un’opera letteraria, piuttosto che fumettistica, trasposta a pellicola si crea un dissidio non solo tra l’autore delle pagine e chi ha girato il film, ma anche quando è il pubblico a criticare, registi e sceneggiatori, talvolta, ma non sempre, a buon diritto. Il cinema nostrano vide il caso de “Il generale Della Rovere”, un racconto scritto dal giornalista Indro Montanelli, ispirato a un personaggio realmente esistito, trasformato in film da Vittorio de Sica nel ’59, non solo è stato oggetto di querela da parte dei famigliari del personaggio a cui il cronista del Corsera si era ispirato, ma anche punto di scontro per una feroce polemica tra lo stesso Montanelli e il regista, quest’ultimo reo secondo l’altro di avere stravolto la narrazione, e il senso della narrazione.
Un caso molto più recente è “Lo Hobbit”, dal, relativamente breve, testo di Tolkien, trasformato, con grande disappunto dei fan, in ben tre pellicole, l’ultima delle quali in uscita a breve. O, l’altrettanto recente, il quarto, e ultimo, capitolo di “Hunger Games”, romanzi scritti da Suzanne Collins, diviso in due film, un po’ come avvenne con il settimo romanzo di “Harry Potter” (personaggio che ha reso la signora Rowling la più ricca contribuente del Regno Unito), anch’esso splittato in due distinti appuntamenti cinematografici. Pur restando personalmente dell’opinione di Alberto Moravia, scrittore, sceneggiatore e giornalista cinematografico (e nel ’51 regista del corto “Colpa del sole”, ndr), per cui un racconto tratto da due diversi media, romanzo/film, principio estensibile anche al binomio fumetto/film, e anche videogioco/film (è previsto l’uscita di “Assasin’s Creed”, saga di videogiochi della transalpina Ubi Soft, ndr) possiede due anime del tutto autonome tra loro, effettivamente all’oggi un problema esiste.
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Il fatto che le leve, e soprattuto i forzieri, delle mecche del cinema, l’arte in assoluto economicamente più costosa, siano quasi in tutte le latitudini troppo spesso nelle mani di chi vuole fare esclusivamente business, non è proprio un bene. Per cui, pensando male, facendo peccato ma azzeccandoci, almeno in questo caso, tre film da un unico libro significa pagare i diritti per una sola opera scodellandone ben tre, che significa tre biglietti al botteghino anziché uno solo.
Secondariamente, sempre per il principio di cui sopra, perché lavorare per guadagnare è giusto ma speculare sul pubblico non lo è, girando molti meno soldi rispetto a prima, gli investimenti sono dirottati solo verso i progetti sicuri. Quindi dovendo scegliere tra un ottimo libro magari poco noto e un best seller che è una baggianata, si sceglie la seconda. E ogni riferimento ai libri/film di Enrico Moccia non è affatto causale.
In terza e ultima battuta, per quanto i prodotti cinematografici nello specifico derivanti da libri e fumetti siano mediamente di altissimo livello, “Avengers” e “I guardiani della galassia” in testa, per tacere della naturale prosecuzione di saghe come “Star Wars” e “Star Trek”, si ha come l’impressione che non si voglia (perché le idee e i creativi ci sono eccome!) tirare fuori nulla di nuovo, oltre che per il motivo già esaminato, anche per una sorta di pigrizia mentale. In soldoni perché mai creare qualcosa quando quello a cui devo lavorare è già sottomano, benché debba pagare agli autori fior di diritti? Un pigrizia che si dimostra anche piuttosto antieconomica, a ben vedere, alea di rischio permettendo.
L’unico ambito che in qualche modo pare ancora aperto a piccole novità, sottolineo piccole, pare essere quello dei cartoni animati-animazione, almeno per il grande schermo.
Una situazione tutt’altro che idilliaca che forse potrà cambiare solo nel momento in cui il palato del pubblico deciderà di rifiutare, non pagando più a prezzo pieno almeno alcune delle fregature ben confezionate di cui sopra. E bisogna ammettere che la Rete, che permette agli utenti di scaricare gratuitamente, o a poco prezzo, i film, sta contribuendo a modificare gli assetti dell’attuale situazione, un po’ come è già accaduto con la musica.