La memoria è costituita da tanti frammenti visivi, trattenuti come uno scatto di Polaroid, istantanee che riproducono fatti, personaggi e situazioni da una generazione all’altra. Tindaro Granata dà vita a queste immagini, gli uomini e le donne che le animano divengono le maschere di un ricordo che torna ad essere presente, e ripercorre così i drammi, le violenze, i rapporti con la mafia, ma anche le speranze, i tentativi di riscatto morale o, in alternativa, la rinuncia alla vita con il suicidio. Anche perché, purtroppo, il male è come una malattia ereditaria, sembra doversi tramandare da padre in figlio, e Tindaro descrive quello che si è insinuato nella sua famiglia da generazioni, fino ad arrivare a lui, che ha abbandonato tutto per fuggire a Roma e diventare un attore. La morte, come le fughe d’amore, hanno i toni e le note di un canto siciliano, una melodia che commuove, ma sa anche divertire, e i personaggi interpretati assumono l’aspetto di icone di una realtà che pare non voler mai mutare, i componenti di un paesaggio fotografico che nella fissità dei propri ruoli configurano la loro esistenza. Un monologo interpretato da un attore che passa con grande abilità da una caratterizzazione all’altra, dove i momenti drammatici si alternano a quelli più squisitamente comici, con il risultato di uno spettacolo che è insieme affresco popolare e denuncia sociale.
Giudizio: ***1/2
Antropolaroid di e con Tindaro Granata
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Dal 25 al 31 ottobre 2013
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