Siamo nel 1945, e Anita, adolescente ebrea-ungherese, una volta liberata dal campo di sterminio di Auschwitz da cui è sopravvissuta, raggiunge sua zia Monika e la sua famiglia nel villaggio di Zvikozev, nell’allora Cecoslovacchia. Da una parte si trova a doversi rimettere dai disumani patimenti subiti durante la cattività nazista, dall’altra a cercare di piacere a Monika, la quale in un certo qual modo la rifiuta così come, per cercare la normalità, sembra rifiutare anche l’appartenenza all’ebraismo e alla tragedia dell’Olocausto, di cui non vuole se ne parli. Oltre a ciò, deve vedersela con la difficile età della crescita, con il rapporto instaurato con il bel cugino Eli, e dalle possibili conseguenze dell’amore, e anche dal fatto che, se da una parte, in quel territorio gli ebrei non sono molto ben visti, dall’altra il richiamo della terra promessa, il neonato stato di Israele, verso cui in parecchi vorrebbero andare a vivere, è ben vivo.
Con un racconto liberamente ispirato dal romanzo di Edith Bruck, questa volta Faenza non racconta tanto la Shoah (come fece per esempio in Jona che visse nella balena, ndr) quanto quelle che sono state le sue conseguenze, attraverso gli occhi di una giovanissima donna sottoposta a tutta una serie di sollecitazioni provenienti dal passato, come per esempio l’avere perduto entrambi i genitori, quindi la sua famiglia, nel lager, a quelle di un presente tutt’altro che facile, considerando anche che il luogo in cui sta vivendo da pochissimo è stato a sua volta sottoposto alla contro-deportazione dei cosiddetti sudeti, quei tedeschi mandati a vivere laggiù da Hitler dopo l’annessione alla Moravia.
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Anita B. di Roberto Faenza, drammatico, 88’, 2014 Italia, Ungheria, USA
Con Eline Powell, Robert Sheehan, Andrea Osvart, Antonio Cupo, Moni Ovadia, Jane Alexander