Il cibo richiama la madre, il nutrimento primario, è soffice e bianco come il latte, la panna, i buoni dolci farciti delle feste di compleanno. In scena al Teatro Oscar di Milano fino al 26 gennaio, Angelo della gravità è la storia di un bambino dissociato, un adolescente tardivo, un giovane adulto mai cresciuto che ha vissuto solo confrontandosi con il cibo, un obeso che viene trascinato ad accogliere l’ipernutrizione come veicolo verso un suo personale mondo di fantasia, dove tutto è dolce e lievitato. Il grasso che lo ricopre è in fondo una copertura verso il mondo esterno, lo fa galleggiare in una dimensione dove nulla sembra toccarlo o solo sfiorarlo, uno strato protettivo nei confronti di un mondo cattivo che, al contrario della madre, non lo ama e lo disprezza perché esageratamente pingue. Mangiare a dismisura rispetta la sacralità del cibo che non si deve buttare e, quando la mamma nutrice muore e la matrigna vuole metterlo a dieta, raggiungere lo zio negli States, dove i supermercati hanno gli scaffali stracolmi di alimenti dalle proporzioni gigantesche, facendosi mantenere in un proprio appartamento con denaro sufficiente per potersi sempre approvvigionare di vettovaglie, è per il ragazzo l’unica aspettativa affettiva possibile. In Italia gli avevano insegnato a non masticare l’ostia, e che invece scioglierla in bocca significava mangiare il corpo di Cristo. Di conseguenza, la fellatio descritta nei film a luce rossa, vista come assunzione di una parte del corpo umano oltre che stimolazione sessuale, non è forse altrettanto sacra come la comunione? Cibo a dismisura, pornografia, religione si muovono in un iperspazio ideale in cui la gravità è assente, e il fatto che il mondo esterno non accetti l’adempimento di un atto che si crede voluto da Dio può generare risentimento, rabbia, un’esplosione incontrollata di violenza a cui deve far seguito il cannibalismo quale unico rimedio, quasi una transustanziazione della vittima, così come la cella della morte in un carcere americano l’ultima tappa in un universo rigettato dallo stomaco di Dio. Ispirato a un fatto reale di cronaca, dove un condannato alla pena capitale negli Stati Uniti si è visto sospendere l’impiccagione a causa del proprio sovrappeso, il testo di Massimo Sgorbani (che ha ricevuto il Premio Speciale della Giuria al Premio Riccione Teatro del 2001) è un monologo dai toni forti, traduce in fondo l’ossessività consumistica di un mondo distratto e distorto dal potere mediatico, in cui tutto pare galleggiare allo stesso livello, ed è interpretato da uno straordinario Leonardo Lidi che sa coniugare, nel racconto della vita del protagonista, i momenti di tragicità a quelli di una candida quanto disarmante follia. La scelta registica di addobbare il palco di palloni bianchi, cangianti al pari del costume dell’attore, conferisce l’aspetto protettivo del grasso come la levitazione degli angeli agognata dal condannato, consentendo, attraverso un adeguato disegno luci, di tradurre cromaticamente gli stati d’animo del personaggio al centro. Uno spettacolo che non conosce freni inibitori e nemmeno intende tradurre semplicemente la sofferenza di un uomo, ma pone semmai lo spettatore, con uno schiaffo semiologico, di fronte agli effetti deleteri di una società che rischia di generare angelici mostri.
Giudizio: ****
NOVE TEATRO
Angelo della gravità (un’eresia) di Massimo Sgorbani
Con Leonardo Lidi
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Assistenza alla regia: Eva Martucci
Luci e fonica: Lorenzo Savi
Lo spettacolo non è consigliato ai minori di anni 16
Milano, Teatro Oscar, via Lattanzio 58
Dal 21 al 26 gennaio 2014
www.teatrooscar.it