Non è facile far ridere le persone. Non che recitare le grandi, e meno grandi, pagine del teatro e del cinema sia una passeggiata, ma in assoluto il mestiere del comico è quello più ingrato. Richiede un istintivo talento naturale, una preparazione specifica, leggi gavetta, ma con il fardello di avere un compito mai abbastanza riconosciuto. Perché secondo un’errata credenza popolare, mai morta, a far ridere dovrebbero essere i picchiatelli. Chi sapeva anche far ridere era Aldo Giuffré, classe ’24, attore partenopeo, fratello dell’altro celebre collega Carlo. Anche in questo caso le malelingue crearono ad arte una rivalità inconsistente, cercando di relegare ad Aldo il ruolo del fratello meno talentuoso. Ma non fu così. It also particularly reduces heartburn and burning 50mg generic viagra sensation. Some food like Natural viagra 25 mg can increase the ejaculation and improve the stamina and can boost your self-confidence. Furthermore, an infection of the urinary tract may not be the worst condition viagra from usa that can affect you, depriving you of a confident smile. It can act a precursor for diseases such as weight gain, high blood pressure, heart problems, and low testosterone canadian viagra store levels, you should take the medication in hermetically sealed box. Aldo Giuffrè fu tante cose, da attore debuttante durante la II Guerra Mondiale con la compagnia di Eduardo de Filippo, che considerava suo “primo e unico maestro”, in ruoli perennemente oscillanti tra comico e drammatico. Una carriera che, al termine del conflitto, lo portò in radio da cui continuò questo alternarsi tra prosa di altissimo livello, con Il compleanno di Harold Pinter, e con Il malato immaginario di Molière, all’intrattenimento di format radiofonici come Gran Varietà e Ciao domenica. Un duplice dualismo, data l’assoluta intercambiabilità nell’impiego della lingua italiana, perfetta nella dizione, come del vernacolo napoletano dei natali.
Un percorso che da allora ha visto la collaborazione teatrale con Luchino Visconti e Giorgio Strehler, e i numerosissimi impegni con la compagnia teatrale portata avanti proprio con il fratello Carlo. Una poliedricità praticata anche in ambito cinematografico, dall’esordio cinematografico in una parte decisamente drammatica con il regista Mario Mattioli, in Assunta Spina, a Ieri, oggi e domani di Vittorio de Sica, al ruolo di caratterista comico in alcune delle cosiddette commediole scollacciate anni ’70, fino a qualche poliziottesco. Ma il ruolo davvero indimenticabile, per il quale gli amanti di un certo cinema (tra cui chi scrive) lo ricorderanno sempre, è ne Il buono, il brutto e il cattivo, di Sergio Leone, nei panni del capitano nordista, alcolizzato e prossimo all’oblio, che ha ormai come unico obiettivo quello di far saltare il ponte di fronte al suo accampamento. Un ruolo forse marginale, anch’esso in bilico tra l’amara commedia e la tragedia, ma sempre commovente, e di interpretato in maniera eccezionale.
Tutto questo senza dimenticare la sua attività televisiva, dal varietà del piccolo schermo, come Senza rete, agli sceneggiati, vedi La figlia del capitano, tratto dal romanzo di Aleksandr Puskin, e una fortunata attività di doppiatore, grazie a una voce particolare, dal caratteristico timbro caldo e pastoso.
Aggiungiamo che la sua carriera non si arrestò nemmeno quando nei primi anni ’80 un intervento alla gola lo rese quasi afono, senza contare la prematura scomparsa della moglie, e collega, Liana Trouché, perita in un incidente stradale su di un’auto guidata da Gino Bramieri, con cui era in tournée.
In questi casi viene da chiedersi quale destino avrebbe riservato la sorte a un uomo e a un professionista di simile spessore, se soltanto il nostro paese avesse un’industria dello spettacolo degna di questo nome.