Tutti gli amanti del rock hanno perso un loro grande mito, un pilastro del rock: l’ex cantante dei Velvet Underground si è infatti spento a 71 anni, dopo essere stato uno dei più grandi artisti dell’ultimo mezzo secolo, cantando il lato selvaggio dei bassifondi metropolitani della New York più maledetta. Così come ha catturato con la sua energia almeno un paio di generazioni a cavallo degli anni ’70 e ’80, ha lottato con tutte le sue forze contro la malattia in questi ultimi anni, sottoponendosi anche a un delicato trapianto di fegato nel maggio scorso, che ha cercato di allungargli la vita, ma purtroppo senza successo. Nato a Brooklyn il 2 marzo 1942, figlio di una famiglia di origine ebraica, si chiamava in effetti Lewis Allan Reed e non ebbe un’infanzia facile: nel 1956, ancora adolescente, Reed venne infatti sottoposto ad una terapia di elettroshock, che avrebbe dovuto curare la sua bisessualità, all’epoca considerata un disturbo psichiatrico. Proprio su questa brutta esperienza nel 1974 scrisse la canzone “Kill Your Sons”. Si era infatti appassionato alla musica ascoltando la radio: imparò quindi a suonare la chitarra e sviluppò un forte interesse per il rock ‘n roll e il rhythm ‘n blues, tanto che suonò in vari gruppi studenteschi durante gli anni delle scuole superiori, diventando poi questo artista multiforme e poeta maledetto della paranoia urbana che è stato cantautore, musicista, ma anche attore: è riuscito a trasformare il lato underground dell’esistenza in poesia rock. Già nel 1960, Reed iniziò a frequentare la Syracuse University, studiando giornalismo, regia cinematografica, e scrittura creativa e l’anno dopo condusse un programma radiofonico notturno in una stazione radio. Mentre lavorava nel 1964 come compositore su commissione per la piccola etichetta di musica commerciale Pickwick Records a New York, Reed ebbe anche il suo primo successo minore grazie al singolo “The Ostrich”, una parodia delle musiche ballabili dell’epoca.
Venne poi il suo primo gruppo, The Shades, ma il suo vero ingresso tra i pilastri del rock avvenne nel 1966 con la fondazione dei Velvet Underground, conturbante gruppo che presto diventerà un cult del panorama musicale newyorkese, creato insieme a John Cale, polistrumentista, figura chiave insieme a Lou del gruppo. Reed, che è autore della maggior parte delle canzoni dei Velvet Underground, entrò così a far parte, insieme al gruppo, della factory di Andy Warhol, promotore e finanziatore del primo leggendario album della band “Vu & Nico“ , diventato famoso anche per la sua mitica copertina, disegnata dallo stesso Warhol, che ritrae una banana che poteva essere sbucciata. Mentre il rock inneggiava a “peace and love”, droga, sesso e Rock ‘n’ Roll erano il vangelo di Reed per la vita, tutti argomenti tabù per la sua epoca e divenne famoso sia per la voce inespressiva, che cantava della perdizione, che per l’immagine iconica che si era costruito di “Angelo del male” con il viso truccato, i capelli corti, la giacca di cuoio, gli occhiali scuri e la chitarra, in grado di anticipare umori e tendenze delle generazioni successive. Nel 1968 Reed e soci incisero un album intitolato “The Velvet Underground”, ma tre anni più tardi abbandonò il gruppo dopo aver inciso un album ancora più commerciale del precedente, “Loaded”, che però contiene canzoni destinate a durare nel tempo, come “Rock ‘n’ Roll” e “Sweet Jane”, dalla musica irresistibile e diventati successi internazionali. Paradossalmente, forse non tutti sanno, che proprio gli anni settanta cominciarono male per Reed: reduce dalla rottura con i Velvet Underground ed in preda ad una grave crisi psicofisica, pubblicò un LP d’esordio deludente, ma ecco che un altro mito della musica come David Bowie, in quel momento sotto la RCA, decise di aiutare colui che era uno dei suoi più grandi ispiratori, producendogli il secondo album dal titolo “Transformer”, un disco che ebbe un enorme successo mondiale, vendendo molto bene dovunque. E’ questo l’album che contiene alcune canzoni destinate a divenire dei classici internazionali di Reed, come “Walk on the Wild Side”, divenuta in Italia “I giardini di Kensington” e portata al successo da Patty Pravo, “Satellite Of Love”, “Perfect Day”, ripresa nel film di culto “Trainspotting” e l’immortale “Vicious”. A questo seguirono “Berlin” dalla struggente poesia urbana e l’insuperabile “New York”. In Italia Lou Reed venne nel 1975, ma questo non fu un tour felice: venne infatti sospeso sia a Milano che a Roma, a causa di gravi disordini con la polizia. La produzione di Reed continuò poi negli anni ’80 e ’90 a fasi alterne, con successi seguiti da album meno trionfali, ma al di là della sua attività di musicista, Lou Reed effettuò ben due incursioni nel mondo del cinema: ha omaggiato il regista Wim Wenders, da sempre suo fan, interpretando se stesso in due significative parti nei film “Così lontano, così vicino” del 1993 e “Palermo Shooting” del 2008. Nell’aprile 2008 ha anche coronato il sogno della sua vita matura, sposandosi con la compagna musicista Laurie Anderson in una cerimonia privata in Colorado ed è stato inserito al 62° posto nella lista dei 100 migliori cantanti secondo Rolling Stone. La sua ultima produzione discografica è del 31 ottobre 2011 con la pubblicazione di “Lulu”, album nato dalla spiazzante collaborazione fra Reed e i Metallica, un’ennesima pesante provocazione, dopo la vagonata di grandi successi immortali, frutto della sua esperienza unica vissuta sempre in un contesto culturale di grande sperimentazione. Chissà se lassù nell’olimpo del rock, Lou Reed, padrino del rock e del punk, amante della letteratura inglese e italiana, autore di vere e proprie opere d’arte musicali, genio e sregolatezza, starà già guidando con la sua passione altre anime sul sentiero della sua musica new wave, ora che qui sulla terra ha lasciato un vuoto terribile e praticamente incolmabile.
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