torbellamonaca_auntie_me

di Morris Panych
traduzione Valentina Rapetti
regia Fortunato Cerlino

con Alessandro Benvenuti e Barbara Valmorin

musiche Peppe Bruno
luci Gianluca Cappelletti

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30 e 31 marzo 2012 ore 21.00

Utilizzando brillantemente i tempi della commedia, Panych mette in scena il dolore e la solitudine dei non amati, componendo una pièce nera e divertente, triste e tenera, ma anche molto dura e crudele.

Kemp apprende da una lettera che sua zia, Grace, di cui conserva solo un ricordo d’infanzia, è morente. Si precipita da lei per assicurarsi della morte della zia e riscattare un’eredità più affettiva che materiale. La morte annunciata e attesa, però, tarda ad arrivare e Kemp è costretto ad aspettare. Passano i giorni, i mesi. Le stagioni si susseguono. I due, costretti a stare insieme in una piccola stanza, si confrontano a colpi di sferzanti trovate da humor nero: Kemp cerca di convincere in tutti i modi la zia che deve morire. Lei, per contro, fa di tutto per rimanere in vita. Messo alle strette il nipote precipita in una sorta di delirio goffo che lo porterà ad immaginare i più fantasiosi ed esilaranti espedienti per far fuori Grace che incredibilmente continua a ringiovanire. Kemp arriverà a progettare persino una complicata macchina per tramortire e fulminare la vecchia zia finendo egli stesso vittima del suo marchingegno.

Il tempo intanto scardina e scompone ogni logica e quell’uomo e quella signora finiscono per essere ciò che sono sempre stati: un uomo solo, stordito dalla ricerca di un’identità, di un affetto; e un’anziana donna dimenticata da tutti tranne che da quel nipote che ne desidera la morte.

«Auntie & me risponde a un mio bisogno di indagare i temi legati ai nostri tempi – afferma il regista Fortunato Cerlino – Panych pone una storia semplice in cui un uomo e una donna per motivi diversi ma simili, non sono riusciti ad essere se stessi. In questo ho visto l’opportunità di indagare le ragioni e i meccanismi che bloccano la capacità creativa ed espressiva dell’uomo contemporaneo. La vicenda narrata da Panych, goffa, comica, violenta, come in alcune splendide pièce di Cechov, mi ha condotto verso l’analisi di un mondo più ampio della casa di Grace, mondo che ho cercato di far vivere e pulsare, sottolineando i suoni, le tensioni, i ritmi che, venendo dall’esterno, avvolgono i due personaggi, sottolineandone maggiormente la solitudine. La stanza in cui si svolge l’azione, infatti, è immaginata senza pareti reali, fatta solo di suoni, emozioni, suggestioni. In fin dei conti Kemp e Grace confinano solo con loro stessi».