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IL GIOCO DELL’AMORE E DEL CASO

24 Giugno @ 8:30 pm - 13 Luglio @ 8:30 pm

Foto di scena: Il gioco dell'amore e del caso © MTM Teatro - Dal 24 giugno al 13 luglio 2024
Foto di scena: Il gioco dell’amore e del caso © MTM Teatro

Debutto Nazionale

di Pierre Carlet de Chamblain de Marivaux
nuova traduzione di Michele Zaffarano
adattamento e regia Antonio Syxty

con Gaetano Callegaro, Francesca Massari, Francesco Martucci, Jasmine Monti, Filippo Renda

regista assistente Filippo Renda
scene Guido Buganza
costumi Valentina Volpi
disegno luci Fulvio Melli

staff tecnico Ahmad Shalabi, Stefano Lattanzio
delegate di produzione Lisa Metelli, Sofia Tieri
produzione Manifatture Teatrali Milanesi

Il gioco dell’amore e del caso di Pierre Carlet de Chamblain de Marivaux è una commedia teatrale molto simile a un prezioso ingranaggio. Questo capolavoro, esaltato come uno dei vertici della drammaturgia francese, cattura l’attenzione degli spettatori con un intricato intreccio di travestimenti, inganni e amori segreti.

In questa vera e propria commedia degli equivoci, Marivaux mette in scena il classico scambio di ruoli, quello tra padroni e servi, che, pur proponendosi uno scopo chiarificatore, non porta altro se non ulteriori complicazioni di sentimenti e relazioni.

Alcuni estratti dal testo originale (francese- italiano) – Scena IX, Atto II

Dorante
Et que pourrais-je espérer en tâchant de me faire aimer? Hélas! quand même je posséderais ton cœur…

E cosa potrei sperare cercando di farmi amare? E poi, anche se riuscissi a ottenere il tuo cuore…

Silvia
Que le ciel m’en préserve! quand tu le posséderais, tu ne le saurais pas; et je ferais si bien que je ne le saurais pas moi-même. Tenez, quelle idée il lui vient là!

 Che il cielo me ne scampi! Anche se riuscissi a ottenere il mio cuore, tu non lo verresti comunque a sapere. E farei addirittura in modo di non saperlo nemmeno io. Ma guarda che idee che gli vengono!
Dorante

Il est donc bien vrai que tu ne me hais, ni ne m’aimes, ni ne m’aimeras?

Quindi è vero che non mi odi e non mi ami? E che non mi amerai?
Silvia

Sans difficulté.
Senza dubbio.

La giovane Silvia, consapevole della difficoltà di trovare il ‘marito perfetto’, tanto più che i cosiddetti ‘ottimi partiti’ si trasformano ben presto, tra le mura domestiche, in individui dispotici, privi di spirito e di gentilezza, attende con timore l’arrivo dell’uomo che il padre ha scelto come suo sposo.

Nasce così in lei il desiderio di poterlo osservare ‘da una certa distanza’, prendendo il posto della sua cameriera, Lisetta, la quale a sua volta indosserà i panni della padrona.
Non sa però che Dorando, per lo stesso motivo, ha deciso di fingersi servitore, affidando al proprio servo Arlecchino, il compito di impersonarlo. La commedia si conclude con un doppio matrimonio tra Silvia e Dorando e tra Arlecchino e Lisetta.

Tra dialoghi e continui malintesi, il grande autore francese riesce a offrirci una commedia divertente, brillante, con momenti esilaranti non privi di una comica suspense. Riuscirà l’amore a trionfare sull’egoismo, sui pregiudizi e sugli ostacoli che il destino si diverte a innalzare?

Rappresentato per la prima volta nel 1730 dalla Comédie italienne, il testo esplora le sfumature dell’amore attraverso lo scambio di ruoli tra i personaggi, offrendo una vivace girandola di emozioni e colpi di scena. L’opera, ambientata a Parigi, si distingue per la brillantezza delle interpretazioni e la profondità psicologica dei personaggi.
Attraverso questa commedia, Marivaux offre uno sguardo penetrante sulla metafisica del cuore, evidenziando il trionfo della passione sull’egoismo e le convenzioni sociali, incantando il pubblico con il suo intrigo avvincente e la sua raffinata analisi dell’amore e della società.

Note di regia:
Una nuova traduzione per Marivaux.
Quando faccio teatro la prima cosa, per il mio lavoro, è avere a disposizione una lingua che possa produrre un suono coerente con il testo e con il dispositivo che il testo mette in atto, inizialmente sulla pagina scritta e in un secondo momento nella trasposizione organica per la voce. Mi capita spesso – nella vita quotidiana – di notare come spesso scegliamo a caso le parole che pronunciamo per comunicare. Il più delle volte usiamo le parole con trascuratezza, con approssimazione, in modo sbrigativo perché ciò che ci preme è comunicare, ma nello stesso tempo utilizziamo il dispositivo verbale senza la consapevolezza della sua ricchezza e potenzialità allegorica, semantica, metaforica.
Il teatro non può e non deve uniformarsi al quotidiano, soprattutto nel caso di un testo del 1730, che è un dispositivo drammaturgico in grado di creare un disegno raffinato intorno a quelli che sono i meccanismi umani, che regolano verità e rappresentazione di sé e dei propri sentimenti.
Per questo ho chiesto a Michele Zaffarano, già traduttore di autori francesi come Francis Ponge, Christophe Tarkos, Michel Onfray, Alain Badiou, Chare Baudelaire, Jean-Marie Gleize e altri di fare una nuova traduzione dal testo francese originale di Marivaux.
Ogni traduzione è un tradimento dell’originale e il teatro è il luogo del tradimento, ma la scelta che si fa del dispositivo verbale è fondamentale, perché prima di ogni altra cosa la parola diventa suono e il suono entra nelle nostre orecchie generando vibrazioni di senso, immaginazione e pensiero.
Il dialogo fra traduttore e attori, nella fase di studio del testo, è stato fondamentale per scoprire le differenze culturali dell’utilizzo della lingua e dei modi di dire nel contesto culturale di origine contestualizzata in un periodo storico e a un contesto sociale e politico.
Antonio Syxty

La scenografia di Guido Buganza e i costumi di Valentina Volpi
Il gioco dell’amore e del caso di Marivaux è per me principalmente un meccanismo. Avevo affrontato questo testo nel 1998 e poi in un riallestimento nel 2001. Non è un testo molto rappresentato in Italia. La tradizione teatrale del nostro paese apprezza molto Moliere. In Francia è invece un grande classico e sicuramente i francesi lo rappresentano in modi e modalità che sono aderenti alla loro cultura e lingua.
A distanza di molti anni il mio incantamento nei confronti di questo testo risiede ancora nel comportamento del ruolo che decidiamo di giocare (di mettere in atto) in un contesto sociale, politico, sentimentale.
Il gioco del ruolo – inscritto nel nostro presente – è cosa ben nota, anche se il teatro lo pratica concettualmente e di fatto da molto prima che i vari dispositivi di comunicazione digitale abbiano messo in atto la modalità del fake.
Ciò che sembra non è, e viceversa, ma quando ci sono di mezzo i sentimenti e la vita la faccenda si fa più complicata. Perché non possiamo uscire dai ruoli che ci siamo definiti o che abbiamo assunto per mascherare il vero? Quando mascheriamo il vero che cosa è vero di ciò che scegliamo di comunicare? E se quando usciamo dal “ruolo vero” per entrare in altri ruoli che non sono tali complicassimo a noi e agli altri la percezione del reale? Per questi e altri pensieri ho chiesto a Guido Buganza una sorta di limbo visivo spirituale e minimal, in cui poter far convergere comportamenti e modalità di spazio e movimento che diano la sensazione di essere all’interno di una “bolla trasparente” e apparentemente senza confini e invisibile. Quindi il lavoro si è basato su una forma di astrazione che non vuole citare iconicamente alcun fregio consolatorio e di stile relativo al periodo storico.
Sospensione e non neutralità, però.
Ho avvertito anche la necessità di un’intrusione visiva che facesse risultare lo spazio della scena quasi una forma di installazione, che per certi aspetti potremmo avvicinare alle nuvole di Berndnaut Smilde, anche se nel nostro caso al posto della nuvola c’è un primate della famiglia degli ominidi, un gorilla.
Fin dall’antichità i primati hanno incuriosito e inquietato per la loro somiglianza, diventando, a seconda dei casi, un termine di paragone buffo o imbarazzante. Se il Medioevo ne fece un’allegoria del vizio, mentre il Rinascimento ne colse soprattutto l’aspetto grottesco, nell’età classica e nel secolo dei Lumi la scimmia divenne oggetto e spunto di riflessioni filosofiche, in particolare intorno al rapporto uomo/natura, in un periodo in cui la visione fondata sui dogmi cristiani cominciava a essere messa in discussione.
Il “nostro” gorilla è colorato e monocromo (simile a un’icona wharoliana) , dipinto alla stregua dei modi della street-art, ma indossa anche lui una maschera a voler emulare gli umani nei loro bizzarri travestimenti e traccheggiamenti. La nostra forma-sembiante-simulacro pende dall’alto e sovrasta la bolla abitandola e assurgendo a deus-ex-machina della vicenda.
Anche nei costumi chiesti a Valentina Volpi l’intento è quello di sovrastare la citazione di abiti del 1700, ingabbiandoli in un segno che possa anch’esso installarsi nel dispositivo scenico e dei comportamenti interpretativi. Anche per accessori e copricapi l’intento è quello truccare (falsificare?) l’iconografia in modo da creare delle interferenze o glitch di percezione (quasi un errore non prevedibile), in realtà voluto e ricercato.

Considerazioni in conclusione
I segni, nel teatro della messa in scena, sono congruenti o congruenti a seconda di come li vogliamo disporre e combinare. Allo stesso modo anche l’interpretazione si combina in un dispositivo atto a mettere il vero nel falso e viceversa, senza pretese psicologiche “moderne”.
In fondo Marivaux si diverte con il personaggio di Orgone, padre di Silvia (e al pari del suo omologo: il padre di Dorante) a orchestrare l’architettura della finzione dichiarandola apertamente allo spettatore già all’inizio della pièce.
L’arte combinatoria è quella che può far coincidere la trama del disegno o anche di fuorviarla per crearne uno analogo, ma non identico, quindi possibile anch’esso. Lo spostamento degli equilibri e delle combinazioni dei segni sono per me (e lo sono sempre stati) pattern mentali, visivi e emotivi in grado di riattivare la circolazione del sangue e del pensiero, in continue derive di senso e di significato.
Marivaux, in questo, è un tavolo da gioco ideale, per lanciare il coup de dés che n’abolira jamais le hasard per dirla con Mallarmé.
Antonio Syxty

Teatro Litta
lunedì/sabato ore 20.30
intero € 30,00 – convenzioni € 24,00 – ridotto Arcobaleno (per chi porta in cassa un oggetto arcobaleno) € 24,00 – Under 30 e Over 65 € 17,00 – Università € 17,00 – scuole di Teatro € 19,00 – scuole civiche Fondazione Milano, Piccolo Teatro, La Scala e Filodrammatici € 11,00 – Scuole MTM € 10,00 – ridotto DVA € 15,00 tagliando Esselunga di colore ROSSO

Invito a Teatro – Manifatture Teatrali Milanesi

Info e prenotazioni biglietteria@mtmteatro.it – 02.86.45.45.45
Scarica l’App di MTM Teatro e acquista con un clic

Biglietti sono acquistabili sul sito www.mtmteatro.it e sul sito e punti vendita vivaticket.it.
I biglietti prenotati vanno ritirati nei giorni precedenti negli orari di prevendita e la domenica a partire da un’ora prima dell’inizio dello spettacolo.

Dettagli

Inizio:
24 Giugno @ 8:30 pm
Fine:
13 Luglio @ 8:30 pm
Categoria Evento:
Sito web:
https://www.mtmteatro.it

Luogo

MTM Tearo Litta
Corso Magenta, 24
Milano, 20123 Italia
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Phone
02.86.45.45.45
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