I fatti del 2 novembre in Piazza del Popolo a Roma e le restrizioni alla libertà di manifestare il proprio dissenso mettono di fatto a rischio la tenuta democratica del nostro Paese
Quando, a miei vent’anni di età, ci si incontrava tra intere compagnie di amici per decidere come passare la serata, si poteva raggiungere persino il numero di cento persone occupando come conseguenza aree di piazze, marciapiedi o parchi, prima di una divisione in gruppi d’interesse verso diverse destinazioni. Nessuno di noi presenti aveva mai avuto il sentore di commettere un reato e tantomeno il referente delle diverse comitive, che aveva proposto l’appuntamento, fu mai raggiunto da un’ingiunzione restrittiva da parte delle autorità competenti.
L’art. 17 della Costituzione Italiana recita: «I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica». In sostanza: se un libero cittadino della Repubblica Italiana prende l’iniziativa di chiedere un incontro in una pubblica piazza rivolto a un gruppo di individui, (appartenenti ai potenti del mondo, ma non per questo diversi dagli altri esseri umani) per ottenere risposta a un quesito in precedenza disatteso, non indice alcuna manifestazione e nemmeno un convegno pubblico. Se nel frattempo migliaia di persone giungono nella medesima piazza per assistere a quel potenziale incontro di cui sono venuti a conoscenza tramite i social, non è certo colpa del proponente. Eppure la prefettura di Roma ha interpretato in modo diverso la fenomenologia degli eventi, al punto da comminare la daspo urbana all’interessato vietandogli di entrare nel territorio romano per un anno, un divieto che di solito viene conferito al responsabile di atti di violenza piuttosto che spaccio di stupefacenti costituendo un serio pericolo per la collettività cittadina.
Certo, i detrattori potrebbero rilevare che l’interessato del provvedimento restrittivo, il portuale triestino Stefano Puzzer (personaggio di riferimento dell’azione di protesta dei portuali triestini contro il green pass nei luoghi di lavoro e che, non avendo avuto risposta alle sue richieste di sospensione del provvedimento da parte del governo Draghi poiché ritenuto discriminatorio, nonostante la promessa di una replica fatta dal ministro dell’agricoltura Stefano Patuanelli dopo un incontro formale con l’interessato, si è reso protagonista dell’iniziativa romana nella giornata del 2 novembre), un reato l’avrebbe in realtà commesso, ovvero quello di avere allestito un piccolo ricevimento con tanto di sedie e tavolino per i convitati senza previo permesso alle autorità competenti, invadendo uno spazio pubblico che corrisponde a circa la metà di quello normalmente occupato dai venditori abusivi ai quali viene invece in genere elargita una tolleranza buonista (vedi video). Un’infrazione che, non essendoci alcun dolo di tipo fiscale, prevederebbe al massimo una multa di poco superiore a quella per divieto di sosta, non certo l’allontanamento e divieto d’ingresso per un anno nell’Urbe. Ancora una volta i critici evidenzierebbero come motivazione la circostanza legata alla sua presenza, ovvero l’avversione a un provvedimento di “sicurezza” governativo come il green pass, ma anche in questo caso la pericolosità di tale posizione striderebbe con il già citato incontro di Puzzer con l’omonimo nonché concittadino ministro, che di fatto ha riconosciuto il suo status quale esponente di una mozione alternativa alle istanze governative, senza contare che tale atteggiamento coercitivo nei confronti del portuale triestino entrerebbe di fatto in conflitto con la libertà di opinione prevista dall’articolo 21 della Costituzione.
Qualcuno potrebbe di contro entrare in profondità rispetto alle rivendicazioni dei portuali e, in genere, dei manifestanti nelle piazze, e scoprire che in effetti il “tesserino verde” mina alle basi l’applicazione dell’Art.1 della medesima Costituzione Italiana nell’esercizio del diritto al lavoro, l’Art. 3 in merito alla pari dignità sociale per ogni cittadino, e inducendo di fatto per ragioni legate a una pressione economica sul costo dei tamponi all’assunzione di un farmaco quale il dispositivo genico sperimentale qualificato come “vaccino” contro il Covid, lo stesso Art. 32 rispetto alla libera scelta sui trattamenti sanitari individuali. Se poi, nel voler manifestare in modo pacifico la propria rimostranza di fronte a queste imposizioni si è attaccati dalle FF.OO italiane in un Porto Franco Internazionale come quello di Trieste, violando di fatto, oltre al già citato Art. 17, il Memorandum sul Territorio Libero di Trieste sottoscritto a Londra il 5 ottobre 1954 (vedi il sito Movimento Trieste Libera), ci si potrebbe addirittura chiedere che tipo di misura meriterebbe il responsabile di tale atto, vista la daspo a Puzzer per un banchetto e quattro sedie in una pubblica piazza. E dato che l’atto di forza è stato ordinato dalle autorità competenti, può a pieno diritto sovvenire il dubbio che non ci si trovi più in un Paese democratico, ma in una dittatura dove i principi cardine della nostra Costituzione repubblicana, oltre ai vincoli internazionali, sono stati evidentemente rottamati.
Il 2 novembre si è raggiunto l’apice di un percorso che da quasi due anni ha visto sempre più calpestare i diritti dei cittadini in nome di misure sanitarie di dubbia efficacia, fino all’erogazione di un green pass emanato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) che non rispetta neppure le intenzioni espresse dal regolamento europeo 953/2021, per cui si può chiaramente parlare di funerali della Costituzione Italiana, dimostrato con il comportamento violento delle forze di polizia rinnovato nelle manifestazioni successive.
Robert F. Kennedy jr., figlio di Bob e nipote dell’ex presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald, che sarà presente domani sabato 13 novembre alle ore 15 a una manifestazione presso l’Arco della Pace di Milano organizzata dalla sua associazione Children’s Health Defense, aveva dichiarato nel mese di agosto 2020, come riportato da diversi quotidiani, che «I governi amano le pandemie per la stessa ragione per cui amano le guerre, e cioè perché possono imporre un controllo della popolazione». Come dargli torto, visti i recenti episodi?
Un punto verte a favore di una rinascita Carta Costituzionale, ovvero il fatto di poter conoscere una palingenesi grazie all’impegno dei cittadini che con il loro dissenso possono farla rivivere, anche con nuove iniziative. Tra queste la manifestazione nazionale delle donne in programma a Firenze il 14 novembre (Venere vincerà, in Piazza Michelangelo dalle ore 14) tesa a valorizzare la figura femminile nella lotta per la libertà, organizzata dalla vice questore Nanda Nunzia Alessandra Schilirò, “colpevole” di aver espresso la propria opinione come libera cittadina sul palco di piazza San Giovanni a Roma il 25 settembre.
Occorrerebbe, certo, che anche il mondo mediatico e istituzionale intervenisse di più per scongiurare la deriva del diritto in corso, ma un risveglio delle coscienze sembra già avvertirsi a prescindere dalle “voci dei padroni” che sempre più vogliono offuscare il dialogo e una reale cognizione del presente. Ai posteri l’ardua sentenza sulla lettura di questo travagliato periodo, con l’augurio che un domani si possa narrare il trionfo di un’umanità consapevole e artefice del proprio destino.