Uno strano malessere serpeggia ormai da lungo tempo nelle anime di tantissime persone senza differenza di età, di sesso e di condizioni economiche. Ed è anche un malessere che non conosce confini poiché si aggira per il mondo come un virus contagioso …
Non ha un nome specifico perché nasce da una combinazione di più elementi di disagio che appaiono nei cervelli umani dapprima senza una chiara consapevolezza e via via affiorano in maniera sempre più cosciente per lo meno in coloro che sono abituati a porsi domande sul senso delle cose.
In realtà arriva il momento in cui si scopre che è il vuoto che soffoca le nostre vite a generare quel malessere senza nome annidatosi nella scatola cerebrale con il passar del tempo durante quel puro esercizio di sopravvivenza che è la regola impostaci all’interno di un sistema generale che non prevede più l’essere umano perché viaggia in direzione dell’estinzione soffice e programmata della specie.
È un sistema che sta sostituendo, giorno dopo giorno, anno dopo anno, la stirpe degli umani con una stirpe di robot produttori di vuoto e, soprattutto, consumatori di vuoto in nome di un’unica legge che si chiama, con un nome circonfuso da un’atmosfera di sacralità, legge di mercato. Nel nome di questa legge tutto deve essere comprato e venduto senza sosta perché solo così l’economia gira e tutti ci guadagnano secondo il messaggio che si vuole inculcare, con commovente semplicità di linguaggio, nelle esistenze quotidiane di un popolo di cittadini consumatori.
Si commercia di tutto e di tutto si fa spettacolo affinché anch’esso sia commerciabile e, quindi, vendibile sul mercato dell’intrattenimento che costituisce, nel suo significato reale così come è venuto sviluppandosi, la droga leggera, ma ad alto contenuto di assuefazione, che istupidisce e svuota quei cittadini consumatori che si dannano l’anima, dalla mattina alla sera, per produrre vuoto e consumare vuoto.
E quando, da qualche parte e in un certo momento, si decide che un tal sistema deve ritrovare slancio per essersi impigrito nel suo corretto funzionamento allora sono pronte guerre e genocidi per combattere “terrorismi” di tutti i tipi sotto le bandiere sacre della “Democrazia” e della “Libertà” al grido di “Dio lo vuole” , dove Dio è l’altro nome del Mercato che ha da essere libero e pacificamente costruito su montagne di cadaveri che imputridiscono al sole.
Presi, come siamo ormai da secoli, all’interno di questo meccanismo e occupati solo a sopravvivere finché morte non ci chiami, abbiamo giocoforza rinunciato a pensare accettando, in maniera civilmente rassegnata, i dogmi di chi pensa per noi spacciando per articoli di fede menzogne e violenze di ogni genere chiamandoli, però, Democrazia e Libertà che, in quell’unica Tavola della Legge che è la Legge del Mercato, trovano compiuta espressione.
Riflettere è sempre stato un gioco pericoloso e lo è ancora.
Riflettere può significare risvegliarsi dal sonno della droga somministrataci e porsi domande che cercano risposte.
Riflettere è indagare a partire noi stessi, ma è anche una marea che tutto abbraccia perché genera una fame di senso esteso a tutto e non si contenta di accettare i soliloqui che giungono dalle stanze del Potere di qualsiasi tipo perché comprendi che il Potere è solo autoreferenziale, cioè falso.
Riflettere porta anche a comprendere che il Potere ha, però, bisogno degli uomini perché ha bisogno di schiavi obbedienti che producano altri schiavi.
Certamente non vi è mai stata un’epoca così ricca di schiavitù reale come la nostra poiché le catene non cingono più le caviglie degli schiavi, ma le loro menti, i loro cervelli, le loro anime. In tal modo i corpi si muovono in maniera automatica e si risparmia sul ferro delle catene.
Ma se riflettere significa cominciare a dubitare e, quindi, a indagare, va da sé che la prima cosa di cui si ha bisogno nel momento in cui inizia il risveglio sono gli strumenti per continuare nell’opera del proprio affrancamento mentale.
Il recupero delle facoltà critiche e della coscienza individuale passa allora attraverso la sete e la fame di senso come volontà di gioia della vita di tutti e di ciascuno.
Abbiamo bisogno di recuperare noi stessi all’interno di una dimensione che inneggi finalmente al piacere di vivere qui ed ora perché solo questa Terra può essere il nostro Paradiso a condizione che criterio di valore sia la dignità e la divinità della Vita di Tutto e di Tutti.
Allora scopriamo che, se vogliamo trarci fuori dalla palude del vuoto nel quale annegano le nostre esistenze, abbiamo bisogno di “cultura” scritta tra virgolette perché non si tratta di cultura scolastica o di memorizzazione di tante cose, cioè di un sapere fossilizzato assolutamente inutile.
La “cultura” che occorre reinventare è nella ripartenza dai valori “erotici” della vita, cioè la soddisfazione dei bisogni dei corpi e, per ciò stesso, del benessere delle anime, cioè la Felicità di Vivere.
Nelle antiche civiltà d’ogni tempo e d’ogni luogo, prima che iniziasse il processo di schiavizzazione degli esseri umani, la vera cultura e la vera sapienza erano nello studio e nella comprensione degli equilibri naturali sui quali si regge il fenomeno Vita e, quindi, anche le esistenze degli uomini se si vuole perseguire il proprio benessere fisico e mentale.
Riscoprire la “cultura” significa riscoprire se stessi, cioè la propria vitalità e la propria identità liberandosi dai condizionamenti che dissacrano l’esistenza favorendo la perpetuazione di caste oligarchiche che da secoli ci gravano sul collo.
Riscoprire la “cultura” è riappropriarsi di un mondo di energie che ci sono state sottratte perché incanalate in un’unica direttrice nella quale nascere, sopravvivere e morire hanno il solo scopo di un atto di consumo che generi profitto secondo la sacra legge del mercato.
“Cultura” è, allora, inesauribile voglia di riconquista del proprio patrimonio intellettuale ed emotivo. “Cultura” è voglia di reciproca comunicazione di quel che ognuno riesce a riportare alla luce come frammento di una più vasta coscienza universale che vede gli Uomini, e non il Mercato, al centro della Vita.
Non si tratta di propugnare l’avvento di nuove caste di intellettuali con delega di pensiero o di venerabili studiosi di libri sacri che ci propinino le loro elucubrazioni odoranti di vuoto.
Ognuno di noi ha da essere artefice di una verità che collimi con il senso e la gioia della vita e non esistono autorità di alcun genere alle quali inchinarsi come a sommi sacerdoti depositari di strane verità rivelate.
La vera “cultura” ha bisogno di spiriti liberi, fieri della propria indipendenza che porta a sottoporre tutto al vaglio di ciò che è buono e giusto nel quadro della vita universale.
Riflettere è pericoloso: porta a ribellarsi e, per ciò stesso, a rinascere.
Prometeo e Spartaco sono stati i simboli della sfida al Cielo e alla Terra perché intrisi di una “cultura” di tal genere che portava alla ribellione contro chi li voleva privi di luce e di libertà.
Si racconta che anche Adamo, loro antico padre, sia stato punito per aver osato mangiare dall’albero della conoscenza rivendicando la sua divinità.
Nonostante la punizione che ebbero a sopportare Adamo, Prometeo e Spartaco, lo spirito di ribellione non muore mai.
La “cultura” è strumento di liberazione: a ognuno di noi il compito di riscoprirla e di riaccendere così la Vita.
(articolo già pubblicato sul sito luigigulizia.it)