Una lunga tournée quella di Ragazzi di vita, tratto dall’omonimo romanzo di Pier Paolo Pasolini, in scena per la regia di Massimo Popolizio. Protagonista è Lino Guanciale, che abbiamo incontrato al Teatro Strehler di Milano dove lo spettacolo è andato in scena dal 16 al 27 gennaio
In una freddissima Milano, riscaldata dalle luci della ribalta di un Piccolo Teatro gremito dalla prima all’ultima replica di Ragazzi di vita, abbiamo incontrato Lino Guanciale. Attore giovane e poliedrico, Lino si è reso protagonista di progetti di successo, dal teatro al cinema, passando attraverso la fiction televisiva che gli ha regalato la notorietà presso il grande pubblico. Raccontandosi con piacere (ma non senza un velo di timidezza), Lino spazia dai suoi esordi con Gigi Proietti al suo attuale impegno accanto a Massimo Popolizio, facendoci percepire l’intensità di una passione viva e vibrante, in divenire continuo, per il palcoscenico.
La tv ti ha dato la notorietà, ma il tuo grande amore è sempre stato il teatro: come è nata la tua passione per il palcoscenico?
È nata quando ero molto piccolo. Mi piaceva andare al cinema e vedere il “teatro in tv”. Ma ero molto timido e introverso (e in parte lo sono ancora) e l’idea di recitare mi faceva paura. Temevo inoltre di non esserne capace o – al contrario – di fare una scelta che potesse sconvolgere la mia vita. Ho “resistito” fino a 19 anni, quando nell’anno della maturità ho provato a recitare: immediatamente ho capito che quello era davvero ciò che avrei voluto fare. Realizzai che quantomeno dovevo provare a fare l’attore, per non avere per tutta la vita il rimpianto di non aver tentato. Mi sono diplomato all’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”, una tra le scuole più importanti d’Italia. Dopo il diploma ho incontrato Gigi Proietti che mi ha offerto il primo lavoro: Romeo e Giulietta dove interpretavo Paride, il ruolo migliore per rompere il ghiaccio.
Hai lavorato con importanti registi, tra cui il grande Luca Ronconi, e oggi l’incontro con Massimo Ppolizio e questo testo di Pier Paolo Pasolini: perché hai scelto questo spettacolo? Cosa ti ha conquistato di un testo così difficile?
Conosco Massimo da molti anni. Nel primo spettacolo importante cui ho preso parte – La peste di Camus, nel 2004 – protagonisti erano proprio Franco Branciaroli e Massimo Popolizio: fu un vero “battesimo del fuoco”. Massimo ha dimostrato da subito grande stima e affetto per me e, nel corso degli anni, ci siamo incrociati tante volte, anche nelle sue prime prove da regista (o proto-regista). Da anni sento Massimo parlare di Ragazzi di vita, questo testo gli appartiene davvero: dunque, quando mi sono trovato tra le mani questo lavoro per il Teatro di Roma, il mio è stato un “sì” di slancio. Da subito ho capito che questa esperienza mi avrebbe insegnato tantissimo, anche perché Massimo aveva le idee molto chiare su dove voleva andare con questo progetto. E poi mi affascinava molto l’idea di lavorare con una compagnia di ben 19 attori, una cosa che oggi non succede quasi più, formata da tantissimi ragazzi, alcuni giovanissimi. Nel momento della vita in cui mi trovo, in cui a teatro ho ricevuto premi importantissimi, un’operazione di questo genere mi avrebbe fatto crescere molto.
I ragazzi della compagnia ti chiamano “maestro”: vedi la regia nel tuo futuro?
In questi giorni mancano Massimo e il suo assistente, Giacomo Bisordi, la responsabilità dell’andamento dello spettacolo è quindi mia. I ragazzi riconoscono in me una certa autorevolezza, ci confrontiamo moltissimo: è una cosa che a me piace molto, mi fa crescere, mi fa guardare lo spettacolo da una prospettiva diversa. Sicuramente nel mio futuro vedo anche la regia; è la regia che costruisce e decide cosa succede sul palcoscenico anche se poi in scena ci vanno gli attori.
In un mondo in cui dominano i talent show, si tende a rincorrere un successo prêt-à-porter: come vedi il futuro del teatro, ma soprattutto dei ragazzi che vogliono avvicinarsi al mondo dello spettacolo?
Personalmente mi auguro che questo fenomeno vada sgonfiandosi: il talento piace e fa ascolti, ma non è giusto e soprattutto non è rispettoso che venga trattato così. Ai ragazzi che mi chiedono se i talent sono una buona strada per fare il mestiere dell’attore, io dico sempre che possono rappresentare una “scorciatoia”, ma al contempo ti timbrano addosso anche una scadenza forte. Quanti artisti usciti dai talent hanno poi avuto una carriera importante? Se andiamo a contarli, non sono tantissimi. Tuttavia esistono altre strade per “sfrondare” e il miglior modo è voler fare le cose bene, innanzitutto scegliendo delle buone scuole “tradizionali”, che in Italia non mancano. Se poi ci si mette anche un po’ di fortuna, piano piano le soddisfazioni arrivano.
Ragazzi di vita è stato ospite al Piccolo Teatro di Milano: quali altre città toccherà la tournée?
Saremo a Torino e Genova. Toccheremo Napoli a fine marzo. Poi Bologna, Ravenna, Correggio, Cesena. Ci sposteremo a Trento, Udine, Pordenone: insomma, una tournée lunga che toccherà tante piazze nel nostro paese.
(intervista a cura di Silvia Neri con la collaborazione di Giulia Nardelli)
Scheda spettacolo Ragazzi di vita al Piccolo Teatro Strehler di Milano