All’interno di un determinato periodo storico ogni paese ha le sue maschere teatrali e cinematografiche. Totò, Alberto Sordi, Vittorio Gassmann sono alcune delle più importanti, a cui aggiungere necessariamente anche Paolo Villaggio, che ha creato e interpretato alcuni memorabili personaggi purtroppo, a mio dire, estremamente rappresentativi il carattere nazionale.
Inclusa l’amicizia, culminata in una particolarissima collaborazione artistica, con il grande cantautore suo conterraneo Fabrizio de Andrè, la carriera artistica di Villaggio inizia proprio a teatro con l’antica compagnia teatrale (goliardica) genovese di Mario Baistrocchi, una realtà artistica di buon livello in prevalenza composta da attori e ballerini non professionisti, una fucina da cui sono usciti, oltre ai citati Villaggio e De Andrè, anche Enzo Tortora e Carmelo Bene. Nel triplice ruolo di autore, attore e presentatore, all’interno di una gavetta durata quasi un decennio, mentre interpreta il ruolo di un prestigiatore bislacco che maltratta il pubblico in maniera altrettanto improbabile (un dottor Kranz ante-litteram) viene notato dal giornalista Maurizio Costanzo, e da questo incontro è breve il passaggio al cabaret vero e proprio. Dal “Sette per otto” di Roma e successivamente al “Derby” di Milano, l’attore genovese conosce Cochi & Renato, Enzo Jannacci e Giorgio Gaber, che insieme a lui diverranno i nuovi mattatori della televisione a partire dalla fine degli anni ’60. In quegli anni infatti è nel cast del programma radiofonico “Il sabato del villaggio” e poi in quello televisivo di “Quelli della domenica” (i cui autori erano Marcello Marchesi, Enrico Vaime, Italo Terzoli e lo stesso Costanzo, ndr), in cui il primo vero cavallo di battaglia è stato proprio il dottor Kranz, tedesco di Germania. Un personaggio in qualche modo anti-fantozziano, in quanto la sua comicità era direttamente proporzionale alla sua brutale aggressività che, dopo appena un paio di battute, lo trasformava in un’esilarante macchietta.
Il più noto “Fantozzi”, un personaggio liberamente ispirato a un suo collega d’ufficio, ancora prima che un film è l’esordio letterario, edito da Rizzoli nel ’71, del Villaggio scrittore. Fantozzi è un ragioniere scontento del proprio lavoro all’interno di una grande azienda, vessato da superiori e tormentato da colleghi, male sposato con una donna triste e remissiva ma segretamente innamorato di una collega piaciona e presuntuosa, che si prende costantemente gioco di lui, e soprattutto padre di una ragazzina quasi mostruosa (tutto questo viene sviluppato nei film). Il pregio del racconto è che viene narrato in prima persona dallo stesso protagonista, il limite, a mio modesto avviso, è quello di un personaggio grottesco all’interno di un mondo tanto eccessivo da risultare deformato, e quasi distopico. Solo quattro anni dopo, grazie al successo di pubblico coadiuvato dall’ormai larga popolarità dell’attore-autore, Luciano Salce ne gira il primo film omonimo, ovviamente con Villaggio nel ruolo del protagonista, che come noto diviene un successo addirittura ben oltre ogni ottimistica previsione. Probabilmente un simile risultato è dovuto anche all’immedesimazione, e in qualche modo al fascino, che l’italiano tipo prova verso questo personaggio, succube e remissivo con chi è più forte di lui ma prepotente e tutto sommato vile nei riguardi dei propri sottoposti, talmente squallido e perdente da risultare ancora oggi addirittura divertente (non a tutti), e comunque primo di una serie di pellicole che lo accompagneranno fino alla pensione e addirittura nell’aldilà. Villaggio ha sempre ferocemente disprezzato la sua creatura parteggiando, senza mai nascondersi, gli va riconosciuto, nei confronti di chi la vessava. Ma tutto questo non credo faccia meno triste l’insieme.
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Altro fortunato character di Villaggio è stato Fracchia, con “Fracchia e la belva umana”, girato nell’81 da Neri Parenti, remake di un classico di John Ford “Tutta la città ne parla” (“The Whole Town’s Talking”, ndr) con Edward G. Robinson, in cui il protagonista interpreta il doppio ruolo dei personaggi del titolo, Giandomenico Fracchia, un impiegato tanto succube e inetto al cui confronto Fantozzi è quasi un rivoluzionario, e un criminale, denominato appunto la belva umana, di cui il primo è pressoché il sosia. Da qui una commedia degli equivoci che permette al comico genovese di calcare maggiormente l’acceleratore sul grottesco, e di giocare con indiscussa maestria nei due ruoli tra loro del tutto antitetici. In realtà è il primo di due film, di svariati passaggi televisivi, che ha comunque ottenuto un buon successo entrando almeno quanto Fantozzi nell’immaginario collettivo.
Seguiranno importanti collaborazioni con Nanny Loi, Pupi Avati, Marco Ferreri, Luigi Comencini, diventando anche un importante comprimario dei più noti titoli della commedia italiana degli anni ’70 e ’80, mantenendo comunque un certo ruolo anche all’interno del piccolo schermo nei più importanti show dell’epoca. La sua consacrazione ultima è venuta poi nell’89 con “La voce della luna”, insieme a Roberto Benigni, diretti entrambi dal maestro Federico Fellini.
Di tutti i suoi lavori, un corpus di tutto rispetto, voglio ricordare, sempre di Neri Parenti, “Sogni mostruosamente proibiti”, remake di “Sogni proibiti” (“The Secret Life of Walter Mitty”, ndr) del ’47, di Norman Z. McLeod, con Danny Kaye, seguito dal recente remake “I sogni segreti di Walter Mitty” (“The Secret Life of Walter Mitty”, ndr) diretto e interpretato da Ben Stiller. Si tratta di una commedia forse meno apprezzata di altre ma con un’apprezzabile vena poetica e uno humor non sempre di grana finissima ma certamente genuino. Ma è da ricordare soprattutto il Villaggio, accanto a Vittorio Gassmann, diretti da Mario Monicelli, nei panni del surreale soldato alemanno Torz, in “Brancaleone alle crociate”, perfetto contraltare del vanaglorioso e fanfarone Brancaleone, in un binomio degno di Don Quijote e Sancho Panza. Questo probabilmente perché sono tra i pochi a non pensare (perché l’ho visto) che “La corazzata Potëmkin”di Ėjzenštej sia una cagata pazzesca (anche se ho sempre preferito “Aleksandr Nevskij”).