La poliedrica vita artistica del Duca Bianco scomparso lo scorso 10 gennaio
Nato Davy Robert Jones, meglio noto con lo pseudonimo di David Bowie, suggeritogli dal suo manager per evitare omonimie con Davy Jones dei Monkees, ha vissuto l’avvicendamento di cinque decenni di storia musicale e artistica a livello mondiale.
Bowie è stato il membro di una ristretta cerchia di artisti di cui hanno fatto parte a pieno titolo Frank Sinatra, Ives Montand e pochissimi altri in grado di sintetizzare recitazione e musica ai massimi livelli. Per quanto possa sembrare da parte mia bizzarro, data questa poliedricità fuori dal comune associata a un trasformismo che fecero di questo artista un cosiddetto animale da palcoscenico, credo sia preferibile parlare prima di lui prima come attore e poi come musicista.
L’attore David Bowie
Parallelamente alla sua carriera di musicista, il debutto vero e proprio è stato nel ’67 durante l’unica rappresentazione di Pierrot in Torquoise, nel ruolo di Cloud, come attore e cantante, mentre è dell’anno successivo la sua partecipazione al cortometraggio in bianco e nero The Image, di Michael Armstrong, un lavoro di avanguardia underground, variazione sul tema del ritratto di Dorian Gray ma virato decisamente sull’horror, a cui seguirono fugaci apparizioni televisive, come in The Pistol Shot, prodotto dalla BBC. Memorabile, ma solo per il fatto che il regista era Ridley Scott, la sua partecipazione allo spot del gelato Luv, la collaborazione in alcuni concerti dei T-Rex con sequenze di mimo, incluso il provino non andato in porto per partecipare alla tournée del musical Hair. E’ comunque interessante come l’attore e regista Lindsay Kemp gli riconoscerà il ruolo di maestro nell’utilizzo del linguaggio del corpo.
Il vero successo cinematografico fu nel ’76 con il film fantascientifico L’uomo che cadde sulla Terra, diretto da Nicholas Roeg, che lo scritturò dopo esserne stato impressionato dalla visione del documentario Cracked Actor, legato al Diamond Dogs Tour. Nel ’78 fu protagonista, a fianco di Kim Novak, Sidney Rome e Marlene Dietrich, di Gigolò (Schöner Gigolo, armer Gigolo, anche conosciuto come Just a Gigolo), film tedesco occidentale diretto da David Hemmings, mentre il 1980, in contemporanea al successo di Ashes to Ashes, vide la sua partecipazione a Broadway a una pièce teatrale ispirata alla storia drammatica di John Merrick, meglio noto come the elephant man, oltre al cameo nel film tedesco Christiane F. – Noi, ragazzi dello zoo di Berlino, e nell’81 nell’adattamento televisivo della BBC dall’opera Baal di Bertol Brecht.
Un altro importante ruolo di protagonista lo ebbe nell’83 in Furyo (nell’originale Merry Christmas Mr. Lawrence, in giapponese Senjo No Mr. Lawrence), diretto dal regista Nagisa Oshima e basato sul romanzo di Laurens van der Post, in cui si narra la storia di un prigioniero internato all’interno di un campo di concentramento militare a Java che instaura un rapporto, anche omosessuale, con il proprio carceriere. Nello stesso anno recita in Miriam si sveglia a mezzanotte di Tony Scott, al fianco di Catherine Deneuve e Susan Sarandon in un ruolo decisamente dark, mentre è dell’85 la sua apparizione in Tutto in una notte, di John Landis, nel ruolo di un killer filosofo. E’ invece dell’86 la commedia Absolute Beginners di Julian Temple, di cui oltre all’interpretazione si ricorda anche l’omonimo brano, insieme al fantastico Labirinth, diretto da Jim Henson (il creatore dei Muppetts) nel ruolo del malvagio Jareth re dei goblin.
Del ’92 si ricorda la partecipazione a Fuoco cammina con me (Twin Peaks – Fire Walk with Me), di David Lynch, prequel della serie televisiva, e quattro anni dopo in Basquiat, di Julian Schnabel, sulla vita del giovane artista, con Bowie paradossalmente nel ruolo di Andy Warhol, di cui vedremo fu amico e collaboratore.
Dopo il ruolo di antagonista nel dimenticabile Il mio West del nostrano Leonardo Pieraccioni, certamente molto più interessante è la sua partecipazione nel 2006 a The Prestige, di Christopher Nolan, nel ruolo carismatico di Nikola Tesla.
Il musicista David Bowie
Fin da giovanissimo fan di Elvis, Little Richards e Fats Domino, oltre che di Ray Charles e James Brown e appassionato anche di jazz, e per questo rocker di formazione con influenze r&b (dell’epoca), David Bowie si dedicò seriamente alla musica improntato a uno stile folk acustico. Dalla metà degli anni ’60 militò quindi in varie formazioni giovanili specializzate in cover, dai Manish Boys, nel ’64, per passare l’anno dopo ai Lower Third (cambiando come abbiamo visto il proprio cognome in Bowie) ai Buzz. Già alla fine di quel periodo tuttavia il suo bisogno di una carriera solista si fece sentire, ed è nel luglio del ’69 che Space Oddity, il suo primo vero successo, vide la luce distribuito sia in Gran Bretagna che negli USA, a meno di un mese dell’impresa lunare dell’Apollo 11.
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Già nel ’70 inizia con la parentesi mutaforma, che durerà gran parte della carriera, presentandosi nei panni di un personaggio fumettistico, Rainbowman, con stivali e mantello azzurro, dando il via di fatto al fenomeno musicale del glam rock. Sempre di quell’anno furono le sue nozze con Mary Angela Barnett (di fatto concluse nel ’74, con divorzio nell’80), ed è di fine anno la pubblicazione di The Man Who Sold the World, in cui si accentuano i toni hard rock che vedranno in questo senso un nuovo arrangiamento anche di Space Oddity.
Spinto anche da una certa notorietà da ambo le parti dell’Atlantico, Bowie termina l’album Hunky Dory, che contiene Changes e soprattutto Life on Mars?, con di lì a poco anche la collaborazione allo spettacolo Pork, un pastiche che vide la collaborazione dell’artista Andy Warhol e di tutta una serie di personaggi legati al suo ambiente per l’epoca ritenuto piuttosto ambiguo. Grazie anche a questo successo abbastanza contestato che si consolida il rapporto tra il musicista e i media, proprio come aveva fatto prima di lui lo stesso Warhol.
Tuttavia il successo mondiale lo raggiunse nel ’72 con The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars, in chi egli stesso vestì i panni del personaggio narrato da quella storia musicale, un fatto almeno per l’epoca alquanto inusuale. E’ di quel periodo l’intervista a “Melody Maker” in cui affermò di essere gay, scatenando da una parte le ire dei benpensanti e dall’altra divenendo all’istante icona del movimento gay britannico. Un’ambiguità vera o falsa che, oltre a denotare per l’epoca un certo coraggio (in Italia lo avrebbero addirittura escluso da qualsiasi circuito musicale) sfruttò per un bel po’ di tempo, e che lo portò insieme a Iggy Pop e Lou Reed nell’area di artisti ritenuti, per il comune senso del pudore, piuttosto “borderline”.
All’apice del successo abbandonò il personaggio di Ziggy dedicandosi prima a un album di cover, Pin Ups, si trasferì negli States lavorando a Diamond Dogs, riproponendo la propria musica contaminata da influenze soul e rock, mentre sul piano personale la dipendenza da cocaina gli creò svariati problemi. Un ulteriore svolta fu il quasi definitivo abbandono del glam in favore della black music americana, suo primo amore, collaborando anche con John Lennon, spostandosi poi verso funky e soul e dando vita a una personale forma di r&b bianco ante litteram.
Nel ’76 pubblicò Station to Station, in cui il suo trasformismo lo portò all’identità di un crooner aristocratico e dandy, da cui l’appellativo di White Duke (il Duca per eccellenza era il musicista jazz e compositore nero Duke Ellinghton, scomparso nel ’74, ndr), lanciato in una tournée europea e americana. Circa la vicinanza politica del suo personaggio all’estrema destra ricordiamo l’intervista che rilasciò a Cameron Crowe, in cui affermò che Adolf Hitler era stato una delle prime rockstar e che con il brano Young Americans profetizzava il suo ritorno. Nella realtà, come avrebbe successivamente affermato egli stesso, la cocaina stava seriamente minando la sua salute mentale costringendolo a comportamenti oltre la bizzarria.
Seguirono The Idiot e Lust for Life, poi un tour in cui fece da anonimo tastierista a Iggy Pop, e un periodo in cui seguì le sperimentazioni dei Kraftwerk e dei gruppi tedeschi di musica elettronica. Da qui l’album Low, che nonostante un’accoglienza abbastanza fredda, date sonorità piuttosto ostiche, alla fine riscosse un buon successo. E’ di quel periodo anche la collaborazione con Brian Eno, e la nascita di Heroes, in cui si parlava della guerra fredda e della Berlino divisa a metà, che ebbe un immediato successo, seguito dal capitolo conclusivo di questa trilogia berlinese intitolato Lodger.
Con la conclusione di quel decennio il mondo stava cambiando e Bowie colse letteralmente l’attimo con brani memorabili quali Ashes to Ashes, da Scary Monsters, China Girl e Let’s Dance, un cambiamento dovuto anche recente al binomio costituito dal brano musicale associato al videoclip.
Di quel periodo si registra la collaborazione con i connazionali Queen nell’album Under Pressure, con Tina Turner, con l’amico Iggy Pop, con Mick Jagger nel duetto durante il Live Aid dell’85 con Dancing in the Street, e con Pat Metheny in This is not America.
Della fine degli anni ’80 è l’album Never Let Me Down con tanto di faraonico Glass Spider Tour con 86 date mondiali, seguita dalla creazione dei Tin Machine, insieme al chitarrista Reeves Gabriels e i fratelli Sales, con l’omonimo album, seguito da un’altro forse meno fortunato.
Oltre al matrimonio con la top model Imam, nel ’92 a Firenze, e conclusa l’esperienza con i Tin Machine, è da antologia la sua apparizione al “Freddie Mercury Tribute Concert”, dedicata all’amico leader del Queen da poco scomparso di Aids, in cui esegue la celebre Heroes, e Under Pressure in duetto con Annie Lennox. Sarà anche il primo musicista rock a quotarsi in borsa, offrendo agli investitori obbligazioni garantite sui propri futuri guadagni.
Nel 2003 viene pubblicato l’album Reality, a cui segue un tour interrotto per problemi alle coronarie. Pur vantando numerose collaborazioni e duetti, tra quelle con Snoop Dogg, Lou Reed, David Gilmour e Alicia Keys, la sua attività produttiva e concertistica rallenta, ed è del 2010 il doppio album A Reality Tour, e del 2013 The Next Day, seguito a sua volta nel 2014 dall’antologia Nothing Has Changed.
Da ultimo, pubblicato solo qualche giorno prima della sua dipartita, Blackstar (tra i brani l’emblematico singolo Lazarus) in cui, con chiari riferimenti al tumore alla malattia che l’ha portato al decesso, un tumore al fegato, ripercorre idealmente a ritroso la strada dell’uomo che cadde sulla Terra. E che dalla Terra alla fine se n’è andato via lasciandoci.