Foto: Francesco Rosi (15 novembre 1922 – 10 gennaio 2015)
Foto: Francesco Rosi (15 novembre 1922 – 10 gennaio 2015)
Foto: Francesco Rosi (15 novembre 1922 – 10 gennaio 2015)

Quando si parla di cinema italiano non viene mai abbastanza citato il regista Francesco Rosi, forse perché più d’ogni altro ha raccontato l’Italia in maniera non così auto-assolutoria come, nemmeno troppo in fondo, alla maggioranza di noi italiani piace.

Dopo una breve carriera di illustratore e di collaborazioni radiofoniche varie (prima ancora fu compagno di liceo proprio del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, partenopeo come lui, ndr), partendo con la classica gavetta di aiuto regista, da Ettore Giannini a Luchino Visconti (in “La terra trema” e “Senso”), e di sceneggiatore, con “Bellissima” e “Processo alla città”, approda dapprima alla regia, condivisa, con Vittorio Gassman, protagonista del polpettone “Kean – Genio e sregolatezza”. Ma da questo momento si può considerare Rosi il creatore italiano del film inchiesta ad argomento politico, con “Salvatore Giuliano”, del ’62, epopea del celebre bandito, e “Le mani sulla città”, del ’63, di cui fu di entrambi sceneggiatore, con il grande merito di avere anche scoperto un indiscusso mattatore della Nona Arte nazionale di quegli anni, l’attore Gian Maria Volontè. Un genere, il film d’inchiesta, che si alternerà nelle sue prove registiche meglio riuscite con la trasposizione cinematografica di romanzi dell’alto valore etico.

Sempre in questo filone, negli anni ’70, diresse altri tre capolavori del nostro cinema, tutti con l’interpretazione di Volontè (che lavorerà con lui anche in “Cristo si è fermato ad Eboli”), da “Uomini contro” nel ’70, trasposizione cinematografica del romanzo “Un anno sull’altipiano” di Emilio Lussu, due anni dopo con “Il caso Mattei”, uno dei più inquietanti misteri nazionali (l’omicidio del presidente dell’Eni, Enrico Mattei, precipitato a bordo del proprio aereo, ndr) e “Lucky Luciano”, del ’73.
Tra anni dopo fu nuovamente dietro alla macchina per dirigere “Cadaveri eccellenti” con Lino Ventura, tratto dal romanzo “Il contesto” di Leonardo Sciascia, seguito nel ’79 da “Cristo si è fermato a Eboli”, dall’omonimo romanzo di Carlo Levi, entrambi grandi successi di pubblico e di critica.

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Negli atti Ottanta ricordiamo nell’81 “Tre fratelli” con Philippe Noiret, Michele Placido e Vittorio Mezzogiorno, una criticata regia della “Carmen” di Bizet, con Placido Domingo, e nell’87 l’adattamento omonimo del romanzo “Cronaca di una morte annunciata” con un cast internazionale che vedeva insieme Ornella Muti, Rupert Everett, Anthony Delon e Lucia Bosè. Ed è del ’90 “Dimenticare Palermo”, sempre con un cast internazionale che comprendeva James Belushi, Mimi Rodgers, Vittorio Gassman, Philippe Noiret e Giancarlo Giannini, un film che venne ingiustamente denigrato forse perché, ancora una volta, apriva un inquietante squarcio nei rapporti fra mafia e politica, solo due anni prima degli attentati di Capaci e di via d’Amelio a Palermo. E di quello che ne seguì.

Negli anni ’90 Rosi diraderà la sua produzione, girando tuttavia nel ’97 il toccante “La tregua”, adattamento al grande schermo dell’omonimo romanzo autobiografico di Primo Levi, con John Turturro nei panni dello stesso Levi, e comprimari del calibro di Massimo Ghini, Stefano Dionisi, Roberto Citran e Claudio Bisio. Vincitore dei più prestigiosi premi cinematografici internazionali, gli vennero conferite anche la cittadinanza onoraria del comune marchigiano di Matelica, città natale di Enrico Mattei, e di Matera, per la location di “Cristo di è fermato a Eboli”, oltre a una laurea ad honorem in “Pianificazione territoriale urbanistica e ambientale” presso l’Università di Reggio Calabria, per “… Il valore artistico ed estetico, etico, sociale, civile e politico della sua opera complessiva e il contributo dato, soprattutto con il film “Le mani sulla città”, alla presa di coscienza sui temi della città, dell’ambiente e del paesaggio nell’ambito della società civile, hanno mosso tale iniziativa”.

Un totale di oltre una ventina di film, e un consistente lavoro di scrittore di sceneggiature originali e non (queste ultime tratte da altri scritti, per intenderci, come romanzi), con un linguaggio decisamente più immediato rispetto ad altri suoi colleghi, sempre con un briciolo di intelligente ironia, una totale assenza di quella ruffianeria tipica di molti cineasti, e scelte tematiche ancora oggi non completamente, né unanimemente, condivise da tutti, hanno caratterizzato la vita artistica e personale di Francesco Rosi.
Uno dei pochi registi che è stato in grado di raccontarci con onestà.