Nel maggio ’93, nella più profonda provincia americana del Sud, tre ragazzini spariscono misteriosamente finché, solo il giorno dopo, non ne vengono ritrovati i cadaveri legati nel letto poco profondo di un fiume. Immediatamente i sospetti di sceriffo e procuratore, tra le varie possibili piste su cui investigare, cadono su di un’esiguo gruppetto di ragazzi più o meno minorenni, i cui interessi maggiori sono la musica Death Metal e l’occulto, con una spiccata propensione alle dottrine sataniste, sicché un importante investigatore della zona compie un’indagine parallela volta a smontare quella che alla prova dei fatti pare essere una delle peggiori indagini svolte su di un omicidio plurimo. Con conseguenze che in qualche modo porteranno a sviluppi abbastanza inconsueti, anche per la stessa storia giuridica statunitense.
Interessante prova registica di Egoyan, che ha costruito la sua narrazione sulla base di un fatto purtroppo vero, raccontato nel libro “Devil’s Knot: la vera storia dei tre di West Memphis”, e sulla sceneggiatura di Paul Harris Boardman e Scott Derrickson che propende intelligentemente per la tesi del ragionevole dubbio.
Di questo lavoro cinematografico, forse inadatto agli stomaci meno deboli, si apprezza in primis la sobrietà stilistica che, per intenderci, mostra il meno possibile, incluso necessariamente il dolore della madre di uno dei tre, una Reese Whiterspoon perfettamente nella parte, almeno quanto lo è Colin Firth, nei panni del raffinato detective dell’Arkansas dai modi gentili ma assolutamente decisi.
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Devil’s Knot di Atom Egoyan, drammatico, 114’, USA
Con Colin Firth, Reese Witherspoon, Dane DeHaan, Bruce Greenwood, Alessandro Nivola