Una felice sintesi di bellezza maschile, a tratti efebica, ed eleganza, alternata a punte di ambiguità frammista a tragedia, fecero di Peter Seamus O’Toole una vera e propria maschera d’attore. Nato nel ’32, in Irlanda, ma cresciuto a Leeds, con un apprendistato che da ragazzo lo vide come fattorino per lo “Yorkshire Evening Post”, presso cui trovò un ruolo anche come apprendista giornalista, passò all’attività di radiosegnalatore presso la Marina Britannica, fino alla decisione di intraprendere la carierà artistica. Fece dapprima tanta gavetta presso i teatri locali, fino a un’audizione presso la Royal Academy of Dramatic Arts di Londra, che gli fece conseguire una borsa di studio garantendogli la frequentazione per due anni della più prestigiosa scuola di recitazione inglese. Il suo debutto sul palcoscenico avvenne nel ’49, per far parte poi dell’Old Vic di Bristol, in cui interpretò ruoli di rilievo nei shakespeariani “Il mercante di Venezia”, “Troilo e Cressida” e “Amleto”, come nei capolavori di altri autori, come “Aspettando Godot” di Beckett e “Zio Vanja” di Cechov, in una girandola che lo vide passare da una compagnia all’altra, trasformandolo così in una delle giovani promesse del teatro britannico. E’ di quegli anni l’amicizia con altri giovani talenti della recitazione, quali Albert Finney, Alan Bates e Richard Harris, con cui manterrà un lungo e saldo rapporto di amicizia. Dal palcoscenico al set, dapprima televisivo e successivamente cinematografico, il passo fu breve. L’esordio fu con “Kidnapped”, nel ’60, dalla penna di Robert Louis Stevenson, ma la consacrazione al successo, di lì a poco, nel ’62, fu con “Lawrence d’Arabia”, autentico capolavoro di David Lean, insieme ad attori già affermati sul piano internazionale, Anthony Quinn e Omar Sharif in testa.
Seguirono “Ciao Pussycat”, con Peter Sellers e Woody Allen, nel ’65, “Come rubare un milione di dollari e vivere felici”, di William Wyler, con Audrey Hepburn, nel ’66, e, nello stesso anno in “La Bibbia” di John Houston (con un cast che definire stellare è poco!), insieme ad Ava Gardner, mentre l’anno dopo fu nel cast del comico “James Bond 007 – Casinò Royale”, insieme a David Niven, William Holden, Peter Sellers, Woody Allen, John Huston, Jean-Paul Belmondo e Orson Welles. Seguì, nel ’66, “La notte dei generali”, per cui, grazie a una straordinaria interpretazione, vinse un David di Donatello come miglior attore straniero, e il ruolo di primo attore nell’ancor più geniale “Il leone d’inverno”, del ’68, insieme a Katherine Hepburn, e al giovane Anthony Hopkins, con cui vinse un Golden Globe. Grazie al regista Bernardo Bertolucci tornò a una larga popolarità, per qualche anno un po’ appannata, grazie a “L’ultimo imperatore”, pellicola da Oscar dell’87.
Per quanto riguarda la sua vita privata, benché il ritiro dalle scene risale solo all’anno scorso, e benché abbia sempre lavorato, anche per il piccolo schermo, nella mini serie televisiva “Masada” dell’81 (trasmessa da noi due anni dopo da Canale 5, ndr), nel ruolo del comandante romano Lucio Flavio Silva, ha sofferto di gravi problemi di alcolismo, e la sua vita privata non è stata certamente da considerare tranquilla. Theheavy amount of nerve & muscle tension that is blocking the proper transmission of message from tadalafil generic online the brain to the different organs. Migraine Headache Treatment Migraines are thought to be the best among all. cheapest cialis 20mg Exercising even for thirty minutes a day can offer you huge incentives. order generic cialis slovak-republic.org As already mentioned both medications contain the same active ingredient as the branded version it is said to be FDA approved generic viagra cialis hence many found it safe and secure in use. Infatti, il matrimonio con l’attrice Siân Phillips, da cui ebbe Kate e Patricia, si concluderà dopo pochi anni, e dalla modella Karen Somerville Brown avrà un altro figlio, Locarn Patrick. Inoltre, una certa dose di sfortuna gli ha impedito di conseguire un maggiore numero di premi rispetto a quelli che ricevette. Infatti per “Lawrence d’Arabia” ebbe la sua prima nomination agli Oscar come miglior attore protagonista, premio che andò però a Gregory Peck per “Il buio oltre la siepe”, medesimo copione per il mancato Oscar a “Il leone d’inverno”, per “Goodby Mr. Chips” (la statuetta la assegnarono a John Wayne per “Il Grinta”, ndr), e per “L’uomo della Mancha”, che recitò con Sophia Loren. In quest’ultima occasione, anno di grazia ’72, l’Oscar finì a Marlon Brando per “Il padrino”. L’ultima beffa fu nell’82, con “L’ospite d’onore”, che vide il premio hollywoodiano finire tra le mani di Robert de Niro per “Toro scatenato”. Infine, nella sua straordinaria bravura, O’Toole non ebbe durante la seconda metà della sua carriera la parte, o gli eventi, che lo avrebbero ricordato ai posteri, come diversamente accaduto ad alcuni attori britannici più o meno della sua generazione. Solo per fare qualche esempio, per quanto capolavori ritenuti abbastanza mainstream, Alec Guinness e Richard Harris saranno per sempre Obi-Wan Kenobi e Marco Aurelio, rispettivamente di “Star Wars” e de “Il Gladiatore”, per tacere delle vicende personali di Richard Burton, con Elizabeth Taylor, in tutti e tre i casi elementi noti anche a quella parte di pubblico più distratto.