In tutti i media, dalla letteratura al cinema, vi è una speciale categoria, il racconto basato sulle vicende storiche, che è cosa differente dal romanzo storico propriamente detto, in grado di raccontare ancora meglio un determinato periodo. Nella fattispecie, il racconto italiano, alla base della Storia, con la S maiuscola, del nostro Paese ha come cantore il regista Luigi Magni, probabilmente tra i nostri più bravi registi, purtroppo tra quelli maggiormente sottovalutati. Classe 1928, con una formazione invidiabile di giovane sceneggiatore già negli anni ’50, collabora con il binomio Age e Scarpelli (e ho detto tutto!), e fino alla fine degli anni ’60 prosegue il suo lavoro con i più grandi registi italiani, da Mario Monicelli a Luciano Salce, passando per Pasquale Festa Campanile, Carlo Lizzani e Alberto Lattuada. Ma la svolta dietro la macchina da presa avviene nel ’68, anno in cui gira Faustina, la sua opera prima, con Vonetta McGee, Renzo Montagnani ed Enzo Cerusico. Quest’ultima sarà la prima delle due uniche storie contemporanee, insieme a Nemici d’infanzia, del ’95, un racconto di formazione ambientato nel ’44, con un ragazzino diviso tra l’impegno politico e l’attrazione per una coetanea, storia legata al momento di svolta bellica e politica di quel periodo. Infatti con State buoni se potete, dell’84, viene narrata la vicenda ambientata nel ‘500 di Filippo Neri, che si prendeva cura dell’infanzia abbandonata, in rapporto con il fondatore dei gesuiti, Ignazio di Lojola, mentre Secondo Ponzio Pilato, dell’88, rappresenta una particolare variazione sul tema della vicenda del governatore della Palestina, che condannò Gesù di Nazareth alla croce. Tuttavia Magni verrà ricordato come il narratore che meglio ha raccontato la Roma papalina dell’800, alternando bonomia, cinismo e un ben motivato anticlericalismo, in bilico tra la farsa al limite del grottesco e la tragicommedia, attraverso una lucida visione storica degli eventi e un’analisi altrettanto acuta sull’essere umano tra etica, aspirazioni e bisogni. Ed è quindi del ’69 il film Nell’anno del Signore, che vede protagonista Nino Manfredi, con cui il sodalizio continuerà non soltanto negli altri due episodi della trilogia, fino alla scomparsa dell’attore, nel 2004, anno in cui, e non è un caso, lo stesso regista smetterà di dirigere film. Seguiranno In nome del Papa Re, del ’77, e il conclusivo In nome del popolo sovrano, tre piccoli capolavori ambientati dal 1825, nel primo episodio, fino all’ultimo, che si svolge principalmente nell’anno rivoluzionario del 1848, con un epilogo di coda con la fatidica Unità d’Italia. 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Ma per completare l’affresco romano dell’opera di Magni è doveroso aggiungere l’ottocentesca La Tosca, del ’73, con Monica Vitti, Gigi Proietti e Vittorio Gassman, originale rivisitazione del dramma scritto da Sardou, ‘O Re, dell’88, il cui protagonista Francesco II di Borbone, meglio noto come Franceschiello, vive esiliato a Roma dopo la cacciata successiva alla spedizione di Garibaldi e l’annessione del suo regno all’Italia sabauda. Per continuare, nel 2000, con La Carbonara, gioco di parole tra l’omonimo piatto e la Carboneria, appunto, ambientato nel 1825, in cui una nobildonna decaduta conduce una locanda legata alle vicende degli affiliati a questa società segreta. La conclusione si ha, nel 2004, con La notte di Pasquino, questa volta film tv, ambientato nel 1870, appena prima la breccia di Porta Pia, legato al rapimento di un ragazzino del ghetto ebraico. Oltre a Manfredi, e agli altri attori citati, lavorò con Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Johnny Dorelli e Philippe Leroy, solo per citarne alcuni, traendo dalla loro interpretazione quanto di meglio si potesse ottenere, spezzando anche alcuni cliché, come utilizzare attori comici in ruoli drammatici. Qualcuno, alla notizia della sua scomparsa, lo ha definito, insieme a Belli e a Trilussa, uno dei più grandi poeti romani, e, opinione personale, è qualcosa di assolutamente condivisibile. Infatti la romanità espressa da “Gigi” Magni, proprio come quella degli altri due grandi, ha rappresentato, e continua a rappresentare, qualcosa di sempre multiforme e non sempre così edificante, ma genuino. E anche nei passaggi più triviali è un antidoto alla volgarità raccontata, per esempio, da Paolo Sorrentino e Carlo Verdone, questi ultimi tra i più efficaci ritrattisti del periodo contemporaneo.