Foto di scena © Federico CambriaNon è un fiore, naturalmente, quello che il protagonista dell’atto unico di Pirandello porta in bocca. Ma anche giocare con le parole – chiamare fiore un tumore maligno, come fa il protagonista di L’uomo dal fiore in bocca – è un modo per esorcizzare la morte, quando la si sa così vicina. E lo è il dire che non interessa nulla della vita degli altri, della vita in generale. Ma è davvero così? Il disinteresse è reale? Basta il pensiero di un’albicocca da stringere tra le dita e assaporare in bocca per rendersi conto che la realtà è diversa. E allora si fa strada l’amore per la vita. Ed ecco la battuta finale: «Il primo cespuglietto d’erba su la proda (che troverà tornando a casa, ndr). Ne conti i fili per me. One more reason is online viagra not being able to perform in bed. You can use this cialis generic order herbal supplement without any fear to slow down or reverse the aging effects. So it is very important to talk viagra brand to doctors about such issues as prevention is the first step towards a healthy life and for prevention to be for real kids need to have the chance and the need for it. NLP can sildenafil india online also be used to treat phobias, however, it is mostly used with adult patients. Quanti fili saranno, tanti giorni ancora io vivrò. Ma lo scelga bello grosso, mi raccomando».

Insomma, un gran bel testo. Sorretto, come sempre in Pirandello, da perfette didascalie, che ne accentuano il significato. L’incontro in un caffé ne indica la casualità: l’uomo dal fiore in bocca parla con uno sconosciuto, al quale vuole e può rivelarsi perché sa che non lo incontrerà più. I suoi, secondo Pirandello, sono gesti misurati: la forza sta in quello che dice, senza bisogno di agitarsi e gesticolare. La moglie, che si intravede fuggevolmente, ha anch’essa un senso, che nel testo è ben comprensibile.

Qualcuno, dunque, vedendo l’allestimento in scena a Milano al Teatro Litta potrebbe chiedersi perché il caffé è scomparso (e l’ombra della moglie pure), che cosa ci fa un monolito, che sembra un residuato della scenografia di 2001 Odissea nello spazio. E le proiezioni video continue alle spalle forse vogliono attualizzare il testo e distogliere da questo l’attenzione degli spettatori? E perché i due protagonisti recitano guardando nel vuoto, invece che puntare la reciproca attenzione su di loro? E perché l’avventore legge sempre un foglio? Per farsi coraggio o per ripassare la parte, visto che anche dopo vari giorni di repliche sembra ancora al debutto? E perché i momenti più poetici – l’evocazione dell’albicocca e il finale – perdono ogni carica poetica? Chiedetelo al regista: chi scrive queste note può solo parlare di «delitto di leso Pirandello», pur apprezzando il fatto di aver riproposto il testo senza rimaneggiamenti e senza unirlo a un altro atto unico.

.

Giudizio: **

LITTA_produzioni

L’uomo dal fiore in bocca di Luigi Pirandello

con Francesco Paolo Cosenza e Niccolò Piramidal

Regia di Antonio Syxty

Scene e costumi: Guido Buganza

Assistente alle scene: Giulia Breno

Assistente alla regia: Antonio Pinnetti

Luci e immagini: Fulvio Melli

Staff tecnico: Alessandro Barbieri e Ahmad Shalabi

Foto: Federico Cambria

Direttore di produzione: Gaia Calimani

Milano, Teatro Litta, C.so Magenta 24

Dal 14 febbraio al 4 marzo 2012

www.teatrolitta.it