E’ quello indicato nel titolo il tempo passato dall’ufficiale inizio della straordinaria avventura del quattro Fab Four da Liverpool, John Lennon, Paul McCartney, George Harrison e Ringo Starr. Perché da quel 1962 il mondo della musica non sarebbe mai stato più lo stesso. Come al solito quando si affronta un argomento del genere, anche a seconda dei propri gusti, c’è una naturale inclinazione a schierarsi pro o contro, o a stabilire dei confronti, duri a morire, fra questa e un’altra band, vedi il dualismo tra gli stessi Beatles e Rolling Stones. Diversamente, per nostra formazione, tracceremo dei punti fondati su criteri di oggettività, su cui è più interessante confrontarsi, e che poco spazio lasciano alla gratuita confutazione tout-court. Per prima cosa è necessario partire dall’anno, proprio il ’62, e da quello che si ascoltava allora. In un modo o nell’altro colui che veniva osannato come il signore dell’altra musica, quella che i giovani ascoltavano in condizioni di semi-clandestinità, e che anche a molti adulti segretamente piaceva, sia nel mondo anglosassone che nel resto del globo, era l’americano Elvis Presley. Il re, tutt’oggi, incontrastato del rock ‘n roll era un personaggio nei cui confronti, in un modo o nell’altro tutti quelli che facevano musica, dai più prossimi Jerry Lee Lewis a Chuck Berry, fino al più lontano Frank Sinatra (basterebbe leggere le polemiche di quest’ultimo nei suoi confronti, ndr) dovevano tenerne conto. E senza troppi giri di parole gli stessi futuri baronetti dell’Impero Britannico, insigniti di questo titolo (Member of the Order of the British Empire, ndr) nell’ottobre del ’65, ai loro, inclusa la trasferta ad Amburgo, erano rockettari in tutto e per tutto, ciuffi a banana e giubbotti di pelle inclusi.
Dalle loro prime incisioni, tuttavia, prima fra tutte “Love Me Do” (con Ringo Starr al tamburello, nella leggenda sostituito da un altro batterista dal produttore George Martin appositamente per l’incisione in studio, ndr), iniziò quel definitivo processo di differenziazione, forse il primo di una lunga serie, da quel genere, inizialmente verso un pop-rock dallo stile assolutamente unico.
Già qualche anno dopo i quattro divennero loro stessi un modello musicale, e non solo, per molti altri musicisti, britannici e non. A titolo di esempio basta vedere le acconciature che a un certo momento sfoggiava il musicista Ike Turner, del duo Ike Turner & Tina (ben prima che Tina Turner, finalmente, lo lasciò, conquistando negli anni ’80 un successo artistico, perfino in ambito cinematografico, tutt’oggi inarrivabile, ndr), un caschetto liscio che male si addiceva a un afroamericano, troppo lontano esteticamente dal modello originale. Tutto questo per tacere dell’abbigliamento, i classici vestiti all’inglese della prima ora, per passare ai colorati frak con alamari della copertina di Sgt. Pepper, al conclusivo abbigliamento casual, inclusi i veri cambi di acconciatura, di barbe e di baffi sfoggiati a seconda del periodo. Una personale, loro, storia della moda all’interno di un decennio in cui l’intero mondo ha radicalmente cambiato gusti nel modo di vestire.
Tornando alla musica, all’apice del successo i Beatles si trovavano da una parte con ideali debiti verso altri musicisti, come Bob Dylan, personale mentore di John Lennon, a sua volta influenzato dai quattro britannici (per esempio, per l’utilizzo degli strumenti elettrificati), a loro volta autori di brani popolari a livello planetario, divenuti cover di altri grandi della musica, vedi la versione della mccarteneyana Yesterday, di “the Genius” Ray Charles.
Altri loro meriti furono le trasformazioni che impressero nella loro musica, in un arco di tempo di meno di 10 anni, che si concluderà il 10 aprile 1970, con il triste annuncio di Paul McCartney. E’ da premettere che, a dispetto della produzione discografica che mai si interruppe, quella dichiarazione, che prevedeva anche l’inizio della carriera di McCartney come solista, era la sua resa rispetto ai molti tentativi che aveva fatto lui stesso per continuare l’avventura. Trasformazioni, come detto, che dal loro stile iniziale, sul filone rockettaro-pop melodico, passò a un mood più surreale, e spesso altrettanto enigmatico, come testimonia il testo di Norwegian Wood, uno stile che troveremo in moltissimi altri brani oltre che in interi LP, come per esempio il già citato Sgt. They advice everybody to sit in the right column list possible behavioral responses that would best match up with the cheap viagra mastercard component such as sildenafil and it could react in a negative manner resulting in causing severe harm to your health. The emotional sickness can be made do with the mix of analysis online sildenafil and medicines so it ought to be done at the early stage. Penegra is a form of Sildenafil Citrate working causes improvement of blood circulation in the body particularly around the male genital part to cause an erection. order cialis When it comes to ED problem, it has no linked with age and it can happen to men in their 60s and 70s. cialis viagra canada Pepper. Lirismi, oltre che a livello musicale anche sotto il profilo visivo, con una decisa carica visionaria, ma anche con moltissimi spunti provenienti da tutto il mondo artistico, da quello letterario fino a quello pittorico, in un insieme che, anche allora, costituiva già un insieme coerente. Non solo un’idea di stile, ma una vera crescita creativa come raramente se n’è viste nella storia della musica, una vera rivoluzione tutto sommato abbastanza lontana da un certo ribellismo fine a sé stesso, a partire da quegli anni fino a oggi (sempre più spesso relegato a mero fenomeno di moda…). Novità musicali anche per quanto riguarda arrangiamenti e performance, con l’aggiunta di archi (anche se quello si era già visto prima, per esempio con la Laura di Charlie Parker) ma anche attraverso una delle prime forme di fusion, con la collaborazione del virtuoso di sitar, Ravi Shankar, ma anche esperimenti come la manipolazione di nastri sonori, una scelta che influenzò anche altri artisti (come Karl Heinz Stockhausen con la sua Kontakte, ndr), un flusso che, al termine della loro epopea, darà alla luce oltre 10 lavori discografici in otto anni, circa, per tacere dei numerosi hit single, e di tutto un corpus di materiale in par
te prodotto successivamente, come il brano Free as a Bird, del 1996, o ancora parte di un archivio parzialmente inedito, o comunque non pubblicato nella forma originaria per cui era stato realizzato.
Relativamente alle influenze beatlesiane nella musica di ieri e di oggi, si potrebbe scrivere addirittura un trattato. A prescindere dal modo di comporre la musica, per cui sono e restano un ineguagliabile modello, studiato anche dai musicisti e dai musicologi, la loro idea di canto è rintracciabile nei migliori Queen, come negli Oasis (Liam Gallagher ha addirittura chiamato Lennon uno dei suoi figli), fino a Red Hot Chili Peppers.
Quattro mutaforma che hanno cambiato pelle numerose volte, come solo pochi sono riusciti a essere, uno di questi è stato ed è David Bowie, ma che oltre ad avere generato reali isterie collettive (da ultimo, dopo l’omicidio di Lennon, l’8 dicembre dell’80, seguirono alcuni suicidi, ndr) sono riusciti a far realizzare, nel ’63, un instant movie su di loro, e con loro, Tutti per uno (A Hard’s Day Night, ndr), diretto da Richard Lester, nel ’68 il riuscito cartone animato musicale The Yellow Submarine (con loro quattro che appaiono in carne ed ossa soltanto alla fine), il meno fortunato (anche perché abbastanza sconclusionato) Magical Mystery Tour, del ’67, fino a quello che viene considerato, per evidenti motivi, il canto del cigno, Let It Be – Un giorno con i Beatles, del ’69, un documentario su quello che fu il loro ultimo concerto. Bizzarra ironia della sorte, distribuito in Italia soltanto dopo la definitiva separazione. Ricordiamo anche una pellicola, postuma, su due di loro (Due di noi – The Beatles, in originale Two of Us, 2000, ndr) relativamente a un episodio storico realmente accaduto.
Per dovere di cronaca vanno anche menzionate le band ispirate a loro, non le cosiddette tribute band come le conosciamo noi oggi, ma dei tentativi, a dir poco malriusciti, di quello che potremmo definire clone band. Qualche nome? Gli American Beatles, i Bug Men, John and Paul, i Manchesters, i Wackers e le Betlettees, neanche a dirlo, spazzate via dalla stessa storia della musica, e ormai rintracciabili soltanto nelle biografie dedicate a quelli originali.
Inoltre, anche in questo caso, va detto che, data la loro notorietà planetaria, se non è stato il primo gruppo su cui hanno circolato, e circolano, leggende delle più bizzarre, a partire dei messaggi subliminali contenuti nei testi delle loro canzoni (da ascoltare rigorosamente all’incontrario!) e di un loro supposto credo para-satanista (Helter Skelter ne sarebbe una specie di inno, ascoltata da Charles Manson e dai suoi seguaci nella strage in cui uccisero la moglie di Roman Polanski, …). Ed è tutt’oggi viva la teoria denominata PID (Paul is Dead, Paul è morto), secondo cui il vero Paul McCarney sarebbe rimasto ucciso in un incidente automobilistico, nel ’66, sostituito da un impostore, lo stesso che tutt’oggi è ancora in giro come musicista, e che avrebbe concluso i recenti giochi olimpici britannici, del 2012, proprio con Let it Be. Un autentico castello di ipotesi ricavabili addirittura dai loro brani successivi a quella data, che, non si capisce quanto involontariamente, contribuisce a perpetuare la loro fama.
E, per finire, alla luce di un serio giudizio, storico e musicale, a prescindere anche dai milioni di dischi venduti in ogni dove, credo che quanto abbia scritto possa bastare, aggiungendo che ai Beatles va il mio personale ringraziamento. A differenza di altre formazioni, infatti, non si sono sciolti per poi riunirsi nuovamente dopo il fallimento delle rispettive carriere soliste, che nel loro caso hanno percorso strade in tutti e quattro i casi di un certo rilievo. Così come non hanno continuato a chiamarsi con quel nome, tuttavia restando a ranghi dimezzati (solo i Nomadi sono riusciti in un’operazione del genere sempre con dignità). E per finire, i due di loro superstiti, Paul McCartney (sempre se è davvero lui) e Ringo Starr, non ci costringono a vederli esibirsi a torso nudo mentre cantano, dimenandosi come majorette.