Il termine Nimby deriva dall’inglese Not In My Back Yard (Non nel mio giardino) e viene comunemente impiegato per descrivere un fenomeno di massa assai diffuso, in particolar modo in Italia, secondo cui pur riconoscendo l’importanza di opere quali ferrovie, strade, cementifici, rigassificatori, termovalorizzatori, discariche, depositi di sostanze pericolose, centrali a biomasse, centrali elettriche, ecc. non si vogliono nel proprio territorio a causa degli eventuali effetti negativi sull’ambiente locale.
L’Italia si scopre, così, in balia del popolo dei Nimby. Se fino a poco tempo fa a non far dormire sonni tranquilli ci pensavano superstrade, discariche o depositi di scorie radioattive, adesso l’attenzione si è spostata su impianti rinnovabili, rigassificatori e centrali elettriche. Cambia l’oggetto delle proteste, forse a causa dalla perdurante crisi economica o di sempre nuove tecnologie, ma la difficoltà che si incontra nel tentare di favorire lo sviluppo economico e infrastrutturale tutelando nel contempo gli aspetti ambientali permane più che mai. Dati impietosi parlano di numerosissime opere pubbliche e progetti industriali privati in stand-by a causa di interminabili procedure burocratiche, ricorsi al Tar e continue contestazioni. A onor del vero languono anche i necessari investimenti statali, che troppo spesso finiscono nel dimenticatoio o risultano nettamente inferiori a quanto precedentemente stabilito.
Negli ultimi tempi si è assistito ad una costante crescita di manifestazioni popolari finite alla ribalta delle cronache: dall’Alta velocità Torino-Lione agli impianti di smaltimento dei rifiuti in Campania, fino alla centrale Enel di Porto Tolle. Sono 320 le opere bloccate nel 2010 (+13% rispetto al 2009), di cui il 25% da comitati di cittadini e il 23% da politici locali, e, a sorpresa, sono concentrate soprattutto nell’Italia settentrionale (50%). Il primato spetta, infatti, al Veneto, con 43 opere sospese, mentre centro e sud Italia completano pariteticamente il quadro generale. Here we will levitra cost of sales look at some of the reasons why people are looking for alternate methods that can bring back the spark in your love making sessions. viagra online in canada That can also improve your performance in bed. Also recognized as male impotence, erectile deficiency is seen men with 40 years and this informative article embarks to think about most important 10 life-sparing items of viagra sildenafil mastercard, the actual marginal pink capsule which helps improve blood circulation and results in erection. How to Take Kamagra Products Kamagra jelly or other products by Ajanta Pharma need viagra pharmacy to be aware about the properties of the drug, the males can come across certain side- effects which include dizziness, body pain, headache, nausea, etc. & these tend to fade away every easily. Entrando più nel dettaglio si scopre, poi, che il settore più colpito è quello dell’elettricità (58%), dove ben l’85% delle contestazioni riguarda il rinnovabile (con un aumento marcato, +20%, per le biomasse), seguito dallo smaltimento rifiuti (33%) e, a notevole distanza, da infrastrutture (5%) e impianti industriali (4%).
Ciò che preoccupa maggiormente è il divario sempre più ampio rispetto agli altri Paesi della UE. Per fare alcuni esempi significativi, si consideri che quarant’anni fa in Italia c’erano quasi 4mila chilometri di autostrade e in Germania più di 6mila. Oggi siamo a 6.600 chilometri mentre in Germania sono arrivati a quota 13mila. Senza dimenticare i 16mila chilometri di rete ferroviaria, di cui solo mille ad Alta velocità, che ci pongono all’ultimo posto tra i Paesi più avanzati d’Europa.
La mancata realizzazione di infrastrutture necessarie allo sviluppo più che un risparmio potrebbe finire per diventare un costo sociale che l’Italia pagherebbe a carissimo prezzo. Il non eseguire tutte le opere di cui l’Italia avrebbe bisogno per recuperare il gap infrastrutturale con l’Europa potrebbe costare alla collettività, nell’arco di tempo che va dal 2009 al 2024, fino a 384 miliardi di euro, cioè almeno quanto dieci finanziarie. Ad esempio, non costruire 5.500 chilometri di elettrodotti comporterà molto probabilmente 20 miliardi di euro di costi in più, mentre la non costruzione di 850 chilometri di linea ad Alta velocità ci costerà ben 654 miliardi. Forse è giunto il momento di pensare ad una seria ed oculata politica di investimenti in infrastrutture che aiuti il nostro Paese ad uscire dall’impasse che ci immobilizza da troppo tempo.