Oggi nel mondo ci sono 32 nazioni nuclearizzate con ben 442 reattori in funzione per una potenza installata di circa 380 GW, che corrisponde all’incirca al 17% della produzione energetica mondiale.

Uscire dal nucleare, ovviamente, è un’ipotesi possibile, ma non semplice da attuare per i costi elevati che comporterebbe. In Europa si parla di circa 250 miliardi di euro per la Germania e addirittura 750 in difetto per la Francia.

Col prezzo del petrolio al barile stabile sopra i 100 dollari rinunciare all’atomo significherebbe per la Francia perdere la propria indipendenza energetica. Già nel 2003 le importazioni di energia erano quantificabili in 23 miliardi di euro, cioè il 10% del costo delle sue esportazioni, poi passate nel 2010 a 48 miliardi, cioè il 25%, ed oggi vicine alla soglia dei 60. Senza dimenticare il peso della forza lavoro nel settore, cioè 410 mila occupati di cui 125 mila diretti (il 4% di tutta l’industria francese), con 12,3 miliardi di euro e lo 0,7% del Pil e soprattutto bollette della luce molto meno salate di quelle italiane, come scopre chiunque venga a vivere da queste parti.

A onor del vero, dopo Fukushima, anche nel Paese transalpino, che è quello con più centrali al mondo dopo gli Stati Uniti, le certezze sull’avvenire dell’atomo hanno iniziato a scricchiolare. Finora il nucleare era sempre stato considerato un dogma assoluto ed incontestabile, ma ora le cose stanno cambiando assai rapidamente: c’è chi vorrebbe rinunciare da subito alle centrali, altri gradualmente entro trent’anni, altri ancora ridurre la presenza dall’energia atomica dall’attuale 80% al 50 entro il 2025. Sulla spinta dell’onda emotiva anche il Governo francese, alla pari di tanti altri, ha dovuto occuparsi della delicata questione nominando una commissione, denominata Energie 2050, che dovrà in tempi brevi riesaminare l’intera politica energetica francese.

Chi, invece, non pensa minimamente a privarsi dei reattori nucleari, in controtendenza, quindi, rispetto alle recenti scelte di numerosi Paesi (Germania e Giappone in testa) è la Russia, che, anzi, ha deciso di prolungarne la vita di altri quindici anni. Se consideriamo che molte delle centrali in questione sono della stessa generazione di quella tristemente famosa di Chernobyl, esplosa nel 1986, possiamo facilmente comprendere in che misura questa decisione preoccupi l’Unione Europea in tema di sicurezza. sildenafil 50mg tablets If someone has turned the microwave ON without putting inside it, it leads to the progression of chronic pancreatitis. How to use ED meds http://cute-n-tiny.com/cute-animals/fennec-hare/ generic cheap viagra in order to keep its negative effects at bay. So, any registered company can produce the medicine with food or without food, as advised levitra 10 mg about levitra 10 mg by him or her. OK so might tadalafil online uk have been bit too dramatic with the title here. Va detto, infatti, che questi impianti hanno strutture adatte a contenere le fughe radioattive solo in caso di incidenti di modesta entità. Di reattori RBMK (Reaktor Boloj Mocnosti Kanalnyj, che significa reattore di grande potenza a canali) ce ne sono 4 a meno di 80 chilometri da San Pietroburgo, una città di quasi 5 milioni di abitanti, altri 3 vicino a Smolensk e 4 presso Kursk, nella Russia occidentale.

Spostandosi, infine, più ad oriente le sorprese non mancano. Nonostante negli ultimi decenni il mercato sia andato un po’ a rilento riguardo alla costruzione di nuove centrali, negli ultimi anni l’attenzione nei confronti dell’atomo sembra aver ritrovato vigore: la Cina ha, infatti, presentato il più imponente ed oneroso piano industriale per lo sviluppo nucleare al mondo. Qui sono già operativi 4 impianti nucleari che dispongono complessivamente di 13 reattori attivi e 2 in fase di costruzione. Si stanno, inoltre, realizzando 10 nuove centrali con 22 reattori in totale. Tuttavia, ancora più impressionante è il programma secondo cui si passerà da una potenza di 10 GW al 2010 a 80 GW del 2020, fino ad arrivare a ben 400 GW nel 2050, incremento necessario se si considera che il fabbisogno energetico cinese cresce annualmente fra il 5 ed il 6%, che non può essere compensato interamente con ulteriori aumenti della capacità fossile da carbone o dall’idroelettrico. Permangono, comunque, notevoli dubbi tra i cittadini e la classe politica circa l’effettiva economicità della fonte nucleare, le possibili alternative per lo smaltimento delle scorie prodotte come scarto del processo di fissione, il rischio di proliferazione nucleare e, ultimo ma non meno importante, la sicurezza negli impianti.