La crescita esponenziale delle energie rinnovabili spinge sempre di più il mercato ad orientarsi verso un’agricoltura industriale dove i campi vengono utilizzati per produrre energia pulita e rinnovabile, come fotovoltaico e biogas. Ma queste fonti talvolta possono rivelarsi controproducenti. Infatti, se i pannelli fotovoltaici vengono posati su grandi estensioni direttamente su terra sottraggono larghi spazi alla produzione di cibo e desertificano le superfici fino a renderle inutilizzabili. Quindi, al terreno libero è preferibile una soluzione tipo tetto, cave dismesse o strade. Che dire poi delle centrali a biogas che impiegano biomasse, ossia liquami zootecnici e altri vegetali di vario genere? Queste sostanze vengono collocate in un macchinario, detto digestore, dove si origina un gas usato per produrre energia elettrica e ciò che resta, detto digestato, viene trattato successivamente per, poi, essere utilizzato come fertilizzante per il suolo.
Impianti di questa tipologia hanno un duplice vantaggio, ossia lo smaltimento dei liquami e di altri rifiuti biologici oltre che la possibilità di rappresentare una fonte di reddito attraverso la produzione di energia impiegabile in azienda o vendibile all’esterno. Ma ci possono essere anche controindicazioni: finchè mantengono dimensioni ridotte rispetto al sistema chiuso dell’azienda funzionano perfettamente, alla stregua di un impianto fotovoltaico sul tetto di un capannone, ma se prevale la logica degli interessi e si punta ad allevamenti su scala industriale allora il biogas può diventare realmente dannoso. Ne sanno qualcosa le numerose associazioni ambientaliste che hanno chiesto alla Provincia una moratoria sulla costruzione di nuove centrali a biogas nella Pianura Padana, dove in molte zone la situazione sembra sia oramai fuori controllo.
In pratica molti agricoltori coltivano mais, destinato in gran parte agli impianti a biogas, in modo diretto, trasformandosi, cioè, in autentici produttori di energia, o vengono pagati da chi ha costruito l’impianto, svolgendo, così, il ruolo di operai del settore energetico.
Tutta colpa probabilmente della finanziaria del 2008, che prevedeva un nuovo certificato verde per la produzione di energia elettrica da biomasse con impianti di biogas di potenza inferiore a 1 Megawatt. This is not a topic of embarrassment so people should make sure that they take proper guidance from their doctor which leads them to proper purchase cialis devensec.com treatment. Rare side effects associated with tadalafil include: priapism sudden loss of hearing sudden loss of vision There are many men who will tell you about how well find out for more viagra online shop works and how it is all that it is advertised to be. This enzyme is the chief deterrent for natural generic viagra sales erection as it prevents the relaxation of sexual organ penis which precisely fit to all sizes. And tendencies are confrontations, arguments and sometimes due to shame the man used to drink liquor just cheap viagra tablet to escape from the problem. Le tariffe sono sembrate da subito estremamente vantaggiose, con ben 28 cent/kWh a favore dei produttori, cioè circa tre volte in più rispetto a quanto si paga normalmente per l’energia generata in modo convenzionale. Se a tutto ciò sommiamo gli incentivi europei per la produzione di mais, ecco che diventa conveniente realizzare impianti di grossa taglia che possono essere ammortizzati in qualche anno. Qualche numero: nel 2007, nel cremonese, c’erano solo 5 impianti, oggi ce ne sono addirittura 130. Si stima, inoltre, che il 25% delle terre coltivate sia a mais per biogas e in Lombardia, entro il 2013, potremmo arrivare a 500 impianti.
Dati certamente che fanno riflettere, in particolare sulle possibili ripercussioni su ambiente ed agricoltura. Innanzitutto va detto che la monocoltura intensiva del mais è nociva per i terreni, perché fa ampio uso di concimi chimici, e, inoltre, consuma moltissima acqua. L’assenza, poi, della necessaria rotazione sui terreni ne riduce notevolmente la fertilità, favorendo la diffusione di parassiti, ed, infine, il costo dei terreni cresce a dismisura, anche fino a 1500 euro per ettaro, perché chi produce energia coltivando mais può permettersi affitti dei terreni molto più alti rispetto al normale uso per allevamento.
Per molti agricoltori, che da anni subiscono l’imposizione di prezzi bassi da parte del sistema distributivo e rischiano seriamente la chiusura, il biogas rappresenta una via per correggere la rotta. Ma esistono anche altri modi di fare agricoltura, più diversificati ed orientati alla qualità e soprattutto che diano un futuro ai giovani.