Foto: “The Wall”, inflatable teacher prop and flying objects pictured at The Pink Floyd Exhibition: Their Mortal Remains © The Pink Floyd Exhibition: Their Mortal Remains
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Foto: “The Wall”, inflatable teacher prop and flying objects pictured at The Pink Floyd Exhibition: Their Mortal Remains © The Pink Floyd Exhibition: Their Mortal Remains

La mostra al Macro, Museo di Arte Contemporanea di Roma

C’è tempo fino a Domenica 20 Maggio 2018 per visitare la mostra The Pink Floyd Exhibition: Their Mortal Remains, prima tappa dopo il debutto al Victoria & Albert Museum di Londra nel 2017.

Ideata da Storm Thorgerson e sviluppata da Aubrey ‘Po’ Powell del famoso studio grafico Hipgnosis, che ha lavorato in stretta collaborazione con Nick Mason (consulente della mostra per conto dei Pink Floyd) The Pink Floyd Exhibition: Their Mortal Remains è un viaggio audiovisivo nei 50 anni di carriera di uno dei più leggendari gruppi rock di sempre e offre una visione inedita ed esclusiva del mondo dei Pink Floyd.

The Pink Floyd Exhibition è prodotta e organizzata dalla Concert Productions International B.V. di Michael Cohl, da Azienda Speciale Palaexpo, Mondo Mostre e da Live Nation.
La mostra è in collaborazione con lo studio Stufish, uno dei maggiori studi di architetti d’intrattenimento e progettisti di lunga data dei palchi della band, e con gli exhibition designer di Real Studios.

I curatori Aubrey ‘Po’ Powell e Paula Webb Stainton, hanno goduto del contributo di Victoria Broackes del Victoria and Albert Museum.

Sono esposti in mostra oltre 350 oggetti –  alcuni mai visti prima – che rappresentano i diversi momenti della storia del gruppo, a partire dalla gigantesca ricostruzione del furgone Bedford che veniva usato per i tour a metà degli anni sessanta, a attrezzeria e foto di scena per “Animals” o “The Wall” ed altro ancora fino alla testimonianza di “The Endless River” del 2014.

I Pink Floyd hanno prodotto alcune delle immagini più leggendarie della cultura pop: dalle mucche di “Atom Heart Mother” al prisma di “The Dark Side of the Moon”, fino al maiale rosa sopra la Battersea Power Station di “Animals” e ai Marching Hammers di “The Wall”. Senza dimenticare la stretta di mano surreale di “Wish You Where Here”.

La loro personale visione del mondo si è realizzata grazie – infatti – a creativi come il moderno surrealista e collaboratore di lunga data Storm Thorgerson, l’illustratore satirico Gerald Scarfe e il pioniere dell’illuminazione psichedelica Peter Wynne-Wilson.

La loro musica si è evoluta – man mano che il mondo cambiava – o più spesso i Pink Floyd hanno saputo interpretare quei mutamenti elaborandoli ed anticipandoli in sonorità e suggestioni di dirompente novità.

Il percorso espositivo –  che guida il visitatore seguendo un ordine cronologico –  è sempre accompagnato – mediante un’audio-guida – dalla musica e dalle voci dei membri passati e presenti dei Pink Floyd, tra cui Syd Barrett, Roger Waters, Richard Wright, Nick Mason e David Gilmour.

Il visitatore, sia che si tratti di un fan dei Pink Floyd – e che quindi conosca il percorso umano e discografico del gruppo – sia che lo abbia approcciato solo per alcuni album o performance, o che addirittura sia neofita di questa storia leggendaria –  potrà conoscere aspetti inediti. La storia del Costume va di pari passo. Daremo alcuni input a partire da ciò che ci ha maggiormente colpiti durante la visita.

I Pink Floyd debuttarono in Italia con due date al Piper di Roma, il 18 e 19 aprile 1968. Lo storico locale si trova ancora oggi in via Tagliamento, ad appena un chilometro dalla sede del MACRO. Alcune locandine dell’epoca introducono al percorso.

Si inizia con gli esordi nella Swinging London: ecco i poster delle prime esibizioni live – al famoso locale UFO – che risentono dell’infatuazione per le linee morbide della Art Nouveau; i primi tentativi di creare effetti visivi “on stage” magari solamente mediante gelatine colorate apposte ai fari o ad un uso “creativo” del proiettore; si ascoltano le voci dei protagonisti in interviste scovate negli archivi delle televisioni o del gruppo come quella del leggendario fondatore Syd Barrett; si può leggere una sua lettera vergata a mano che descrive il primo furgone col quale facevano i gig.

Si procede verso i primi “concept album” ripercorrendo la storia della loro genesi creativa sia musicale che grafica. Gli stunt-men Ronnie Rondell e Danny Rogers ritratti per “Wish You Were Here” spiegano come avvenne la realizzazione della stretta di mano infuocata in quella foto iconica. Didascalie ne svelano il senso, partito da un gioco di parole in Inglese, “I’ve been burned”, “Ho preso una fregatura”, qui riferito al mondo degli affari.

O scopriamo come venne realizzata l’immagine misteriosa e straniante – sempre per “Wish You Were Here” – che ritrae – immobili – delle gambe esattamente perpendicolari che emergono da uno specchio d’acqua tra scogli aguzzi, proprio dalla voce del sub e del fotografo che la realizzarono, uno come modello, l’altro come creativo.

La storia dei Pink Floyd è strettamente legata agli strumenti musicali e alla strumentazione tecnica utilizzata: l’appassionato potrà vedere pezzi originali del gruppo, dell’epoca o repliche. Ci si potrà emozionare di fronte a un amplificatore Selmer Steromaster del 1969 o a un Binson Echorec Baby.

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Ora siamo nel 1977, “Animals”: ecco le fotografie che documentano le rocambolesche avventure che ebbero corso per recuperare il gonfiabile del maiale il cui ancoraggio si era spezzato e che volò sui cieli londinesi fino al termine della sua corsa nel Kent.

Il periodo di “The Wall” (1979) è testimoniato con bozzetti autografi e materiale di scena, oltre a marionette e gonfiabili utilizzati nei live che si credevano essere stati perduti e fortunosamente recuperati.

“The Final Cut” (1983), su progetto di Roger Waters, è raccontato tramite un’interessante intervista al musicista che perse il padre nel secondo conflitto mondiale. Immagini dell’epoca – ai tempi della Guerra delle Falklands –  e una ricostruzione che richiama la grafica del lavoro, ci fanno conoscere maggiormente questo album, il primo senza Richard Wright.

È poi il momento dell’epoca dei grandi tour degli anni 80 e 90: registrazioni audio con i musicisti, con i videomaker, con i tour manager ne ricreano l’atmosfera. Il decalogo di Tony Howard, con i dieci comandamenti del tour, “The Ten Tour Commendments” (periodo “The Division Bell”) del 1994, è imperdibile.

In chiusura la Performance Zone, in cui i visitatori entrano in uno spazio audiovisivo immersivo, che comprende la ricreazione dell’ultimo concerto dei quattro membri della band al Live 8 del 2005 con Comfortably Numb, appositamente mixata con “One Of These Days”, tratto dalla storica esibizione del gruppo a Pompei.

Il libro ufficiale per i 50 anni della band è edito da Skira ed è disponibile al museo come nelle librerie.
Al bookshop – ricchissimo – i visitatori potranno trovare il catalogo ufficiale – sia in Italiano sia in Inglese –  vinili e CD, monografie firmate, gadgets di ogni genere e altri libri di mostre afferenti.

Foto: “Wish You Were Here” album artwork, 1975 © Pink Floyd Music Ltd
Foto: “Wish You Were Here” album artwork, 1975 © Pink Floyd Music Ltd

INFO E CONTATTI:
MACRO
, Viale Nizza 138, 00198 Roma
WEB: www.pinkfloydexhibition.com
FACEBOOK: https://www.facebook.com/PinkFloydTMR/
INSTAGRAM: pinkfloydtmr