LOTTA DI NEGRO CONTRO CANI Vi sono cantieri dell’umanità in cui il conflitto è più forte, dove la sopravvivenza della propria identità è il frutto di una lotta serrata fino all’ultimo respiro, e il terreno su cui s’intende edificare è stabile quanto una sottile lamina di rasoio. L’Africa è il continente più antico, l’origine dell’uomo si scontra con il tentativo faustiano di un’evoluzione industriale e urbana: quando nel cantiere un uomo viene ucciso per un futile motivo e il suo cadavere fatto sparire, il reperimento del corpo svanito può divenire il punto di viraggio tra compromesso e definitiva frattura. Ed è così quando Alboury, il fratello del morto, entra di notte nel territorio bianco per riavere quel corpo, a sua volta simbolo di un confine destinato a dissolversi tra ragione diplomatica e urlo primitivo di sofferenza. Dall’altra parte, i proprietari Horn e Cal, quest’ultimo il nevrotico assassino dell’operaio, e Leone, una giovane donna proveniente da Parigi, teoricamente promessa sposa di Horn. Come in una partita a dadi si decidono le sorti dei singoli personaggi, il confronto dialettico lascia presto il posto al delirio: la donna, prima insidiata da Cal, s’innamora di Alboury, fino a quando non viene costretta da Horn a ripartire. Cal, dopo aver cercato invano di recuperare il cadavere, viene sostenuto da Horn per la lotta finale contro Alboury, fino al suo tragico epilogo. Con un linguaggio crudo e poetico in una sfera no global cara a Chatwin, Combat de nègre et de chiens, scritto nel 1979 e messo in scena per la prima volta da Patrice Chereau quattro anni dopo, fu il lavoro che consacrò Koltès nella neo-drammaturgia francese ed internazionale. L’allestimento di Andrea Brunetti valorizza l’interpretazione dei quattro personaggi costruendo lungo un’asse orizzontale tre avamposti: il primo, più vicino alla giungla, dove s’insedia Alboury; il secondo, nel cuore del dominio bianco di Horn e Cal; l’ultimo, il cantiere, l’espressione di una coscienza estinta illuminata dal neon. Due ore di spettacolo intenso, dove la parola ricercata si alterna all’azione e allo scatenarsi sordo degli elementi, in un cinismo ironico ed onirico insieme. A ridosso della scena, oltre una linea bianca di demarcazione, il pubblico, che come di fronte a uno specchio vede riflessa l’instabilità dei rapporti umani tra richiami epici e contemporaneità. Eating fat producing food products and drinking alcohol must be strictly avoided; then only it will show how you can laugh and feel good about something when times were not as complicated as today. viagra uk When people buy Penegra, they can expect a swift erection on sexual intimacy, but the same does not protect from sexually transmitted disease purchase viagra in canada or other health afflictions. Impotency midwayfire.com free viagra canada gives rise to various other diseases. A toxin is this shop on sale now buy cialis online basically any substance that creates irritating and/or harmful effects in the body, undermining our health and stressing our biochemical or organ functions. (Claudio Elli, 29 maggio 2009) Giudizio: **** KOLTÉS E LA GLOBALIZZAZIONE Nella calda primavera della lotta all’immigrazione meditiamo con Koltès sul nostro rapporto con la diversità. L’autore francese, cosmopolita e tormentato affrontava nella seconda metà del XX secolo temi attualissimi, in verità eterni e oggi più che altro ‘’di moda’’. Infatti la globalizzazione ci mette giocoforza in contatto con mondi lontani dalla nostra quotidianità, ma non è solo la questione razziale, non è l’incontro con uomini che vengono dalla terra dove una volta si credeva ci fossero solo i leoni, a metterci in difficoltà. Di fatto non comprendiamo una realtà ben più vicina a noi: il nostro problema è l’altro in generale, è il nostro prossimo con il quale non riusciamo a comunicare e Koltès ce lo mostra nelle sue opere. Nonostante un linguaggio molto forbito, ci dice che le lingue sono ostacoli, che bisogna ‘’osservarsi’’ a vicenda per capirsi. Purtroppo osservare significa interiorizzare l’altro, il diverso e questo non ci piace, viola un distorto senso del privato, mentre riusciamo a essere uniti nel rifiuto degli altri intesi come categoria: ‘’Io stendo un negro, perché lui mi sputa addosso…. ed è proprio grazie a me che loro non ti sputano addosso … mica per le cose che dici, dici…’’ (da Lotta di Negro contro Cani). Ma prima che razza siamo individui e come individui non vorremmo mai trovarci a dire ‘’ Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare.’’ (B. Brecht) (Alessandra Antiga, 29 maggio 2009) JOLLY ROGER Lotta di negro contro cani di Bernard-Marie Koltès Prima Nazionale Con Paolo Andreoni, Fabio Banfo, Mohammed Ba, Anastasia Zagorskaya Regia di Andrea Maria Brunetti Organizzazione: Giulia Brescia Tecnico di scena: Alessandro Martelli Curatore suono digitale: Jorge Fonseca Milano, PiM Spazio Scenico, via Tertulliano 68/70 Dal 22 al 25 maggio 2009 www.pimspazioscenico.it In alto: foto di scena © Jolly Roger © PiM Spazio Scenico I