Foto: Matthieu Pastore sulla scena di “Titanic. The Great Disaster”
Foto: Matthieu Pastore sulla scena di “Titanic. The Great Disaster”
Foto: Matthieu Pastore sulla scena di “Titanic. The Great Disaster” © Teatro della Cooperativa

Il protagonista di “Titanic. The great Disaster” racconta la sua giovane esperienza teatrale e le sfide del futuro

Classe 1989, nativo di Lione, giovane promessa del teatro, Matthieu Pastore si diploma nel 2011 presso il Piccolo Teatro di Milano. Completa il suo iter formativo in Francia, ottenendo diversi riconoscimenti presso il conservatorio della sua città natale. Vincitore del Premio Hystrio alla Vocazione, ha interpretato il Dottor Huld ne Il Processo di K al Teatro Filodrammatici e ha al suo attivo a Milano diverse partecipazioni in spettacoli importanti, quali, sempre al Filodrammatici, Mattia – a life changing experience di Bruno Fornasari, liberamente ispirato a Il Fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello e, al Piccolo, Shakespeare, streghe ribelli e altre passioni di Laura Curino e Lucio Diana.
Dal 17 al 29 marzo è invece in scena al Teatro Litta con lo spettacolo Titanic.The Great Disaster – Soliloquio marittimo per 2.201 personaggi e 3.177 cucchiaini di Patrick Kermann, diretto da Renato Sarti, che ha già debuttato la scorsa stagione al Teatro della Cooperativa, di cui è traduttore e interprete.

Buongiorno Matthieu, grazie innanzitutto per avere acconsentito a questo incontro. A 26 anni hai già un’esperienza importante nel panorama teatrale milanese e internazionale. Vuoi parlarci del tuo approccio con il mondo del palcoscenico?

Prima di diplomarmi al Piccolo mi sono appassionato alla traduzione dei testi teatrali, approccio che ritengo importante come attore per meglio indagare sulla struttura del tessuto drammaturgico. Ho lavorato con registi come Bruno Fornasari al Teatro Filodrammatici, Andrea De Rosa per l’ERT (Emilia Romagna Teatro Fondazione, ndr) e successivamente presso il Teatro Franco Parenti di Milano, Renato Sarti al Teatro della Cooperativa e Laura Curino presso il Piccolo con testi di racconti che comportano una diversa relazione con il pubblico, un aspetto, questo, che intendo approfondire per avere nei confronti dello spettatore un rapporto più diretto e franco.

Renato Sarti è una presenza quarantennale come drammaturgo, attore e regista, allievo di Giorgio Strehler. Ci puoi descrivere l’esperienza con questa icona del teatro milanese?

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Ci siamo conosciuti nel 2011, collaborando insieme con Fadhel Jaïbi, un regista tunisino che in quel periodo operava come artista residente al Théâtre de Chaillot di Parigi, durante una cooperazione tra attori italiani e francesi al Piccolo che prevedeva la preparazione di una serie di stage. Renato Sarti lavorava come drammaturgo e io mi occupavo di assistenza, interpretazione e traduzione. Ci siamo trovati subito in sintonia, sia dal punto di vista umano sia da quello professionale, e, dopo questa bellissima esperienza con Jaïbi, abbiamo lavorato insieme a un suo testo, Otello spritz, di cui ho fatto anche in questo caso l’assistente. Successivamente gli ho proposto Titanic. The Great Disaster di Patrick Kermann, che stavo già traducendo, dopo aver visto La nave fantasma, anche questo uno spettacolo che parla di emigrazione, problemi sociali e soprattutto di mare, elemento che ci lega entrambi nella sua simbologia. E’ stata una bellissima esperienza, dove la mia formazione del Piccolo, piuttosto rigida, si è potuta confrontare con quella fisica di Renato, profonda, intrisa di comicità e, comunque, più sciolta nei confronti dello spettatore.

Parliamo adesso di Giovanni, il protagonista del monologo. Come ti sei rapportato con questo personaggio di migrante friulano, riemerso dagli abissi?

Intanto un fatto curioso, di cognome si chiama come me, Pastore. Con Renato è stato fatto un lavoro alleggerito nella forma, abbiamo voluto tenere questo personaggio nel relitto del Titanic a galleggiare in questo limbo infinito e rappresentare 2.201 persone e 3.177 cucchiaini: 2.201 persone che sono realmente morte, alle quali Giovanni, emigrato friulano imbarcatosi come lavapiatti sul transatlantico, dopo varie vicissitudini, riesce a dare voce. Esistenze spesso ignote o comunque ignorate, scomparse mentre, sul Titanic, considerato inaffondabile, credevano ciecamente in quella realizzazione nautica simbolo dell’evoluzione tecnologica. Un testo emblematico, visto che ancora oggi nutriamo questa fiducia in un progresso che ci può invece, inaspettatamente, inghiottire.

Ora uno sguardo verso il futuro. Hai già progetti in fase di realizzazione dopo questo spettacolo?

Questo è un periodo molto difficile per l’Italia, dove purtroppo la situazione è complicata per il teatro e la cultura in genere. Per i giovani attori i compensi sono molto bassi, a volte con compromessi vergognosi sul pagamento delle prove, a parte naturalmente eccezioni. Attualmente sto cercando di lavorare sempre più in Francia e l’anno prossimo trasferirò parte della mia attività a Parigi, dove ho già partecipato a diversi provini. Naturalmente non vorrei abbandonare questo Paese, che amo anche se non è il mio, e ciò che vi sto costruendo in anni di operosità. Spero quindi che in futuro le situazioni possano mutare, permettendomi di continuare la mia attività artistica in Italia.

E’ quello che ci auguriamo anche noi. In bocca al lupo per il tuo lavoro presente e le aspettative future!