Foto: Aascanio Celestini in scena © Maila Iacovelli

Dall’8 al 27 maggio 2012

Nella cornice perfetta della sala storica di via Rovello, custode, prima di diventare un teatro, di un passato di prigionia e torture, Ascanio Celestini veste i panni di un detenuto dei giorni nostri. Con il monologo Pro Patria declina nel suo personalissimo stile le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Solo sul palcoscenico, scrive il discorso che deve tenere in tribunale, nel quale cerca di rimettere insieme i pezzi della propria storia, ma anche di una formazione politica avvenuta in cella attraverso i libri che l’istituzione carceraria gli permette di consultare La guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49 di Carlo Pisacane, le lettere di Ciro Menotti o dei Fratelli Bandiera, le memorie politiche di Felice Orsini. Così, chiede aiuto a Mazzini. un Mazzini silenzioso e sconfitto: “Quand’è che l’avete capito che era finita, Mazzini? Quando finisce la rivoluzione? Finisce a roma nel ’49 con la fine della Repubblica? O con le insurrezioni degli anni ’50? Con le impiccagioni e le fucilazioni di Belfiore che faranno guadagnare a Francesco Giuseppe il soprannome dell’impiccatore? Con l’insurrezione di Milano del ’53? Qualche migliaio di uomini che assaltano caserme e posti di guardia e sperano nella diserzione dei soldati ungheresi che invece non ci pensano proprio. Alla fine vengono giustiziati in 16. Quella volta Marx scrisse che la rivoluzione è come la poesia, non si fa su commissione. Quando è che avete pensato “siamo sconfitti”, Mazzini?”.

”Senza prigioni e senza processi”, sottotitolo dello spettacolo e motto che descrive il fulgido e fugace momento della Repubblica Romana del 1849, rivoluzionaria esperienza politica e sociale, uno dei momenti più alti del Risorgimento, in cui giovanissime energie, idee illuminate e principi democratici fecero un balzo in avanti nel tempo ma solo per un breve istante, finendo poi soffocati nel sangue. Celestini tende un filo rosso che unisce, nella sconfitta, tre Risorgimenti, quello ottocentesco repubblicano, la lotta partigiana e il terrorismo degli anni Settanta. Un motto e un fallimento che si riflette e rispecchia sul presente, sulla nostra storia, sulle prigioni affollate e una condizione penitenziaria che dovrebbe rieducare ma non raggiunge lo scopo. Un racconto di cento minuti che si dipana nel cerchio claustrofobico di un palco di metallo che è anche un piccolo prato artificiale, al quale fanno da sfondo immagini, ritagli di giornale e manifesti. Un banchetto rosso tra palco verde e fondale bianco. Due musiche ad accompagnare la narrazione, un brano surf e una variazione di Chopin su un’aria di Bellini. Cinque personaggi. Un narratore-personaggio che parla in prima persona. Con lui ci sono due padri, uno di sangue e uno ideale. Accanto si muovono due abitanti della prigione: un secondino detto l’intoccabile, padrone concreto della vita del carcere, e un immigrato africano che dorme cinque minuti ogni ora.

“Chi ruba una mela finisce in galera anche se molti pensano che rubare una mela è un reato da poco. E chi ruba due mele? Chi ne ruba cento? Quando il furto della mela diventa un reato? C’è un limite? C’entra con la qualità della mela? La legge è uguale per tutti e i giudici non si mettono a contare le mele. La statua della giustizia davanti al tribunale ha una bilancia in mano, ma entrambi i piatti sono vuoti. Non è una bilancia per pesare la frutta”.

Piccolo Teatro Grassi (via Rovello 2 – M1 Cordusio)

Dall’8 al 27 maggio 2012

pro patria

senza prigioni, senza processi

testo Ascanio Celestini

suono Andrea Pesce

una produzione FABBRICA – in coproduzione con Teatro Stabile dell’Umbria

Foto di Maila Iacovelli – Fabio Zayed/Spot the Difference

Orari: martedì e sabato ore 19.30; mercoledì, giovedì e venerdì ore 20.30; domenica ore 16.00.

Lunedì riposo

Durata: un’ora e 40 minuti senza intervallo

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Informazioni e prenotazioni 848800304 – www.piccoloteatro.org

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