Foto: Giancarlo Cattaneo
Foto: Giancarlo Cattaneo
Foto: Giancarlo Cattaneo

Sono oggi in pochi i professionisti in grado di passare con disinvoltura dalla conduzione radiofonica fino allo speakeraggio vero e proprio di jingle e stacchi. Sicuramente uno di questi è Giancarlo Cattaneo, classe ’73, in forza a “Radio DeeJay” e “Radio Capital”, che abbiamo avuto l’occasione di incontrare presso gli storici studi di via Massena 2, a Milano.

Come nasce la voce radiofonica di Giancarlo Cattaneo?
Dalla mia passione per la musica, nei club, nelle discoteche, come DJ. Questo, tra i 18 e i i 19 anni, mi portò a iniziare come redattore di una radio di zona, a Napoli, anche perché parlavo senza troppe inflessioni. Dal lavoro di redazione, frequentando anche un corso di dizione, e facendo la pratica per diventare giornalista pubblicista, poi sono passato da una radio all’altra, da quella di via a quella di quartiere, a quella cittadina, via via con esperienze sempre più importanti.

Come hai fatto iniziando con il radiogiornale, quindi con un’impronta di tipo giornalistico, a dedicarti poi all’intrattenimento?
Più che altro è stato un passaggio quasi naturale. Posso dire di avere imparato dalla vecchia scuola, per cui per fare del buon speakeraggio, oltre alla tecnica radiofonica, e alla dizione, era necessaria la conoscenza di almeno una lingua straniera, e un bagaglio di conoscenze legate alla musica, anche da un punto di vista della sua tecnica.

Fino all’arrivo a Milano, quando la preparazione ha incontrato l’occasione…
Quella che si dice la situazione giusta, nel posto giusto al momento giusto. Inviai un demo a “Radio 101”, One-O-One (ex radio Milano International, ndr) che fu ascoltato da Gigi d’Ambrosio, il quale mi contattò il 17 luglio, avvertendomi che il 21 sarei stato in onda! Quelli sono stati i giorni che hanno cambiato la mia vita (ride).

Che differenze trovi tra quel periodo, per certi aspetti ancora pionieristico, e oggi?
Erano anni di grande creatività, e soprattutto di ricerca. Giusto per citare qualche altro importante personaggio di quel periodo, Massimo Oldani o il compianto Leopardo (al secolo Leonardo Re Cecconi, ndr), si trattava di comunicatori che offrivano al pubblico un’ampia scelta musicale. Mi ricordo, per esempio, che viaggiavano negli Stati Uniti anche solo per cercare nuovi jingle musicali, per trovare nuovi dischi e nuove canzoni.
Oggi, a parte alcune isole felici, c’è molta più omologazione, una caduta verso la qualità peggiore, e molta meno sfida.

Perché, contrariamente a quanto potrebbe pensare improvvidamente qualche ingenuo, per fare radio bisogna essere preparati.
Assolutamente. E la preparazione di cui tu dici si chiama gavetta, e si basa fondamentalmente su tre principi: tecnica, competenza e comunicazione. A cui aggiungo un altro elemento fondamentale, che è il rispetto. Il rispetto per chi lavora con te, perché puoi avere tutto il talento che vuoi ma all’interno della tua equipe quanto te valgono almeno altrettanto un regista e una redazione, perché quando sei in onda quel che conta è il gioco di squadra! E poi, almeno altrettanto, il rispetto per chi ti ascolta.

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Mi piace che parli ci comunicazione. In pochi lo fanno.
Ma assolutamente! L’ABC di quella comunicazione, che nasce quando non ci si messaggiava ancora con gli sms e non c’erano ancora le chat dei social network, vale per forza ancora oggi. Un ambito come il nostro è in crescente evoluzione sotto molti punti di vista, e fin tanto che si sperimenta sempre, cogliendo nuove opportunità, significa che si è sulla strada giusta. Tacendo del fatto che ormai anche la radio è, per così dire, da vedere, ossia ai più giovani non basta la voce, ma sono necessarie anche le immagini, all’interno di un percorso che possiamo definire multimediale.

Ricerca nei contenuti e anche nei format.
E nell’offerta. Il fatto che io faccia programmi come “Parole note”, uno spazio dedicato alla poesia, e “Crooner & Classics”, un programma sullo swing e il jazz, significa che la proposta rivolta ai nostri ascoltatori è qualcosa di molto diverso rispetto all’omologazione che si sente altrove. E infatti da noi si sentono brani che altre radio non passano, ma senza per questo finire con l’essere una radio elitaria, di nicchia, quelle in cui si parlano addosso. Per evitare questo il nostro lavoro deve basarsi prima di tutto sulla quotidianità e sulla famigliarità con gli ascoltatori, con un intrattenimento all’insegna della leggerezza, per chi ci ascolta da casa, in ufficio come in macchina mentre viaggia sull’autostrada.

Qual è il tuo programma preferito?
Proprio “Parole note”. Nonostante io non sia un attore, né abbia studiato recitazione, in un programma dal vivo come questo (in cui Cattaneo legge testi poetici, ndr) l’elemento artistico, nell’accezione migliore del termine, ma senza tirarcela, prende forma, e con il pubblico si crea una tale emozione che suscita un’empatia credo proprio reciproca. Da questa esperienza, a cura di Maurizio Rossato, che è l’autore del programma, sta anche per uscire il libro “Parole dritte al cuore” (che verrà presentato presso la Mondadori Duomo, a Milano, il 14 novembre alle 18.30, e il 20 novembre, alle 21, presso il Circolo dei Lettori di Torino).

Un’importanza al valore della parola che non troppi hanno.
Il nostro lavoro affronta molteplici aspetti legati alla parola, oltre che la conduzione anche lo speakeraggio in quanto tale. Per esempio, da anni sono ormai la voce dei finti jingle pubblicitari per “Ciao belli”, come di “Microonde” (condotti da Digei Angelo e Roberto Ferrari, ndr), e questo è un tipo di intrattenimento assolutamente comico.

Come la telenovela indiana, con protagonisti Enzo e Nunzia, in cui tu rifai la voce narrante…
“E prima lo sguardo di lui, e poi lo sguardo di lei, e poi ancora lo sguardo di lui…” proprio quella (ride)!

E per chi volesse cimentarsi nel tuo lavoro, cosa suggerisci?
Di bussare a tutte le porte, e di proporsi. Oggi, per esempio, stanno dilagando le web radio, che sono un’ottima opportunità per iniziare, e qui torniamo alla gavetta di cui parlavamo prima. Come abbiamo detto, nonostante una rincorsa verso il peggio, il suggerimento è comunque quello di prepararsi studiando dizione e lingue, e ampliare il proprio lessico, evitando per esempio di ripetere più volte la stessa parola. Poi, quando sia possibile, è bene ascoltarsi, anche per migliorare la propria esposizione, il cosiddetto air check, tenendo conto che quando si è in onda spesso la parola arriva prima del pensiero, ed è quindi facile sbagliare. Molto importante è anche imparare a parlare senza cuffia, perché ci permette di utilizzarla naturalmente senza gridare. E poi, per quanto sia importante, pensiamo in una trasmissione come un radiogiornale in cui si dà in un certo modo la notizia, bisogna evitare di innamorarsi della propria voce.