Foto: Gene Wilder (11 giugno 1933 – 29 agosto 2016) nel 2007 – Foto di Caroline Bonarde Ucci
Foto: Gene Wilder (11 giugno 1933 – 29 agosto 2016) nel 2007 – Foto di Caroline Bonarde Ucci
Foto: Gene Wilder (11 giugno 1933 – 29 agosto 2016) nel 2007 – Foto di Caroline Bonarde Ucci

La vita di un poliedrico artista che dal teatro inglese approdò al cinema di Woody Allen e Mel Brooks

Durante la propria carriera professionale si possono fare molte cose, così come, nel caso di un attore, se ne possono essere almeno altrettante. Jerome Silberman, meglio noto con lo pseudonimo di Gene Wilder, oltre che attore, sceneggiatore, regista e scrittore, a seconda dell’età del pubblico e del periodo, è stato diversi personaggi entrati di diritto nell’immaginario collettivo, e qui rimasti definitivamente.

Di formazione attoriale britannica presso l’Old Vic londinese, benché fosse americano figlio di ebrei russi, ebbe un debutto sul palcoscenico teatrale, su cui conobbe Anne Bancroft (al secolo Anna Maria Louise Italiano, ndr), fidanzata di un regista, sceneggiatore e attore di nome Mel Brooks. Dopo l’esordio cinematografico nel ’67 con “Gangster Story” (“Bonnie and Clyde”), di Arthur Penn, proprio con Brooks (anch’egli ebreo, dato da precisare rispetto a quanto state per leggere), Wilder viene coinvolto nella preparazione di una storia intitolata “Primavera per Hitler” (“Springtime for Hitler”) in cui due impresari scalcinati allestiscono un assurdo musical sul dittatore tedesco con l’obiettivo di fare un flop colossale frodando l’assicurazione. Wilder sarebbe stato Leo Bloom, il più giovane dei due protagonisti, mentre il ruolo principale sarebbe toccato a Zero Mostel. Un progetto che tardò a partire ma che approdò finalmente nel ’68 al film dal titolo “Per favore, non toccate le vecchiette” (in originale “The Producers”), e che ha garantito a Wilder l’Oscar come miglior attore non protagonista, e al film il premio come miglior sceneggiatura originale.

Un altro vero successo arriva nel ’71 con “Willy Wonka e la fabbrica del cioccolato” (“Willy Wonka & the Chocolate Factory”), diretto da Mel Stuart, e tratto dal romanzo omonimo di Roald Dahl. Ennesima disfatta al botteghino ma che, per ironia della sorte, diventa un film di cult ancora oggi e ricordato dai più come la vera e unica rappresentazione cinematografica di quel testo. Nonostante questo, l’anno dopo con “Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso e non avete mai osato chiedere” (“Everything You Always Wanted to Know About Sex But Were Afraid to Ask”), in assoluto uno dei film più spassosi di Woody Allen, l’attore interpreta uno degli episodi più riusciti.

Con Mel Brooks gira “Mezzogiorno e mezzo di fuoco” (“Blazing Saddles”), e qualche anno dopo un’altro degli indiscussi capolavori di Mel Brooks, “Frankenstein Junior” (“Young Frankenstein”), nei panni del protagonista professor Frankenstein (Wilder è anche sceneggiatore). E, sempre con Marty Feldman, che in quest’ultimo era il braccio destro , il gobbo Igor, recita, e dirige, nel ’75 “Il fratello più furbo di Sherlock Holmes” (“The Adventure of Sherlock Holmes’ Smarter Brother”), altra pietra miliare della comicità di quegli anni.

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Nel ’76 inizia il sodalizio comico con l’attore afroamericano Richard Pryor, che egli stesso aveva proposto per “Wagon-lits con omicidi” (“Silver Streak”), di Arthur Hiller, mentre l’anno dopo dirige il suo secondo film con “Il più grande amatore del mondo” (“The World’s Greatest Lover”), a metà strada fra “Lo sceicco bianco” di Fellini e il cinema di Rodolfo Valentino, lavoro che purtroppo non riscuote il dovuto successo. Si rifarà nel ’79 come coprotagonista di “Scusi dov’è il West” (“The Frisco Kid”), nei panni di un rabbino molto poco sveglio in coppia con un cowboy interpretato da un giovane Harrison Ford (un anno prima di vestire i panni di Han Solo, ndr).

Seguono negli anni ’80, in “Nessuno ci può fermare” con Richard Pryor, diretto da Sidney Poitier, mai uscito nei cinema italiani, “Hanki Panky – Fuga per due” e il grande successo (a mio avviso assolutamente sopravvalutato) “La signora in rosso” (“The Woman in Red”), con la bellezza esplosiva del periodo Kelly LeBrock, mentre è dell’anno successivo, l’86, la sua terza regia, con “Luna di miele stregata” (“Haunted Honeymoon”), non esattamente un successo di pubblico.

Il successo ritorna nell’89 con la commedia “Non guardarmi: non ti sento” (“See No Evil, Hear No Evil”), ancora in coppia con Richard Pryor, in cui Wilder è un sordo che insieme a un cieco vengono accusati di un grave crimine. Dopo “bebè mania” (“Funny About Love”), diretto da Leonard Nimoy (il signor Spock della serie originale di “Star Trek”, ndr), il duo Wilder-Pryor ritorna due anni dopo sugli schermi con “Non dirmelo… non ci credo” (Another You”), scarso successo anche a causa dei problemi fisici del comico afroamericano, ormai minato dalla sclerosi multipla. E’ da dire che sarà anche l’ultimo lavoro cinematografico di Wilder.

A metà degli anni ’90 si registra la sua partecipazione alla sit-com “Quel pasticcione di papà”, e nel ’96 il suo ritorno a teatro, dopo vent’anni, al Queen’s Theatre di Londra con “Laughter on the 23rd Floor” di Neil Simon, nel ’99 partecipando al pluripremiato adattamento televisivo “Alice nel paese delle meraviglie” della NBC, sceneggiati inediti in Italia, e come guest star nel telefilm “Will & Grace” nei panni di Mr. Stein, che gli garantirà la vittoria di un Emmy Awards.

Autore di tre libri, il primo di memorie del 2005, “Baciami come uno sconosciuto (Kiss Me Like a Stranger: My Search for Love and Art), un romanzo nel 2007 dal titolo “La mia puttana francese” (“My French Whore”), ambientato durante il periodo della Prima guerra mondiale, nel 2008 il successivo “The Woman Who Wouldn’t”, e nel 2010 la raccolta di storie “What is This Thing Called Love?”

E’ da dire che dei citati “The Producer” (“Per favore, non toccate le vecchiette”), di “Willy Wonka e la fabbrica del cioccolato” e di “Frankenstein Junior” sono stati fatti dei remake, dei primi due cinematografici il primo dei quali dello stesso Mel Brooks e il secondo da Tim Burton, entrambi nel 2005, mentre il terzo è stato trasposto a teatro in numerose lingue (nella versione italiana il protagonista professor Frankenstein è stato il bravo Giampiero Ingrassia, ndr). E, al di là della mia personale opinione, il Leo Bloom, il Willy Wonka e il professor Frankenstein di cui ci ricorderemo sempre sono per tutti  proprio Gene Wilder.