Nel giorno di lunedì dell’Angelo 1939 le truppe italiane invasero l’Albania, occupandola completamente in poco tempo. Un piccolo paese, considerato l’eldorado dei Balcani per i suoi discreti giacimenti di petrolio, che il governo di Mussolini volle invadere per garantire all’Agip le concessioni sull’estrazione dell’oro nero, battendo sul campo il colosso britannico BP, ma anche e soprattutto per una questione di prestigio, in particolare nei confronti del potenziale alleato tedesco con il quale voleva misurare i propri muscoli e capacità d’espansione. Come conseguenza della “guerra lampo”, re Zog d’Albania fu costretto all’esilio, sul trono di Tirana salì Vittorio Emanuele III, già re d’Italia e imperatore d’Abissinia, e alla “normalizzazione” italiana seguì l’arrivo di oltre centomila coloni civili, che si sommarono ai militari già presenti. Intere famiglie che in molti casi si unirono a quelle albanesi, fino allo scoppio del secondo conflitto mondiale, la sconfitta italiana, e la costituzione del regime comunista di Enver Hoxha che prese il potere già dalla fine di novembre del 1944. Parecchi italiani rimasti, che non riuscirono a fuggire prima della fine della guerra, furono presi prigionieri, considerati nemici “fascisti” dell’Albania,quindi successivamente internati in campi di concentramento per oltre quarant’anni. Quando poi nel 1991, a sei anni dalla morte di Hoxha e due dal crollo del muro di Berlino, si aprirono le frontiere dell’Albania e venne posta la parola fine al regime comunista, alcune centinaia d’italiani che non avevano mai conosciuto il paese d’origine approdarono nel Belpaese dopo che venne loro riconosciuto lo status di profughi. Ma ecco l’ennesima beffa, quella di essere considerati degli stranieri in Patria, vittime di una xenofobia crescente che li vedeva alla meglio come cittadini di serie B e alla peggio un pericolo per la comunità.
Saverio La Ruina, in scena con il suo spettacolo fino al 5 febbraio al Teatro dell’Arte di Milano, interpreta la storia di uno di questi italiani dimenticati, un bambino internato con la madre in un campo di concentramento dopo che il padre fu separato dalla sua famiglia per essere rimpatriato in Italia quale nemico dell’Albania, lì cresciuto e diventato uomo tra restrizioni, abusi, interrogatori e torture. The length of time, dosage, and makeup of the steroid are known to be the key elements in migraine headache attacks. 4 ) Butterbur It was used discount cialis in America to enhance libido. 8. So, the jelly eventually strengthens http://mouthsofthesouth.com/wp-content/uploads/2020/02/MOTS-03.07.20-Dixon-.pdf buy levitra male potency for sexuality. Commonly used price of viagra tablet techniques such as effleurage and petrosage. Shatavari generic cialis overnight is a nutritive tonic and boosts stamina, strength and energy levels. Un racconto che non conosce la voce della rabbia, ma quella dell’aspettativa e del sogno, della volontà di ritagliarsi un angolo di dignità nel lavoro di sarto, mestiere imparato da un anziano professionista anche lui recluso nel campo che gli ha anche insegnato un rudimentale italiano deformato dal dialetto calabrese, della capacità di saper immaginare e scegliere i colori pur vivendo immerso nel grigio verde simile allo sterco delle divise e della terra del campo. Nella cattività di un’esistenza bruciata dalla reclusione, riesce a conoscere il colore dell’amore, si sposa con un’albanese costretta a vivere e partorire a sua volta dentro il campo, fino alla liberazione. Da qui il viaggio in Italia alla ricerca del padre in Sardegna, un viaggio che è la realizzazione di un sogno lontano, il frutto di una speranza che porta il sapore del mare, quell’Adriatico orientale nelle cui acque s’immergeva cercando si scorgere all’orizzonte la terra promessa di un Belpaese felice, dove cantanti, musicisti e pittori lo avrebbero coperto di allegria. Un sogno che s’infrange nell’impatto con la drammatica realtà di un’Italia che non vuole ricordare, di un paese ingrato con i suoi stessi figli, che dopo essere stati internati per decenni in quanto italiani, ora si trovano nella grottesca situazione di non essere pienamente accettati perché “albanesi”; un inaspettato e assurdo razzismo generato da ignoranza e mal politica, che li induce a preferire il ritorno in Albania. Poiché in fondo sono, appunto, solo degli italianesi.
La narrazione, ispirata a fatti realmente accaduti, riesce a tratti persino a divertire, pur nella cornice tragica di un dramma storico troppo facilmente dimenticato se non addirittura mai menzionato. Un testo interpretato sempre con garbo, nel sussurro di una poesia che riesce però a fendere l’anima di chi l’ascolta con la forza di un machete e la precisione di una stilettata al cuore. E il distillato amaro di una scomoda verità, si trasforma a questo punto in elisir di speranza per un’Italia del divenire.
Giudizio: ****
Produzione SCENA VERTICALE
con il sostegno di MIBAC | Regione Calabria
Italianesi di e con Saverio La Ruina
Musiche originali: Roberto Cherillo
Disegno luci: Dario De Luca
Organizzazione: Settimio Pisano
Milano, CRT Teatro dell’Arte, viale Alemagna 6
Dal 31 gennaio al 5 febbraio 2012